venerdì 31 dicembre 2010

Ragazzo 22enne aggredito perchè gay a Trastevere.
E la gente, che fa?

Apprendo dell'ennesima aggressione fisica e verbale all'ennesimo gay a Rama. Come al solito i mezzi di (dis)informazione online (adeguatisi ben presto a quelli cartacei) fanno gossip, propaganda a questa o quella compagine politica (Polverini e Alemanno vengono definiti indignati... Loro, primi esponenti di organizzazioni politiche, tra le altre cose, omofobe) si contraddicono sulla dinamica dei fatti, fanno non si sa quanto inavvertitamente pubblicità a un'organizzazione gay che spaccia come soci avventori di saune e cruising bar come Arcigay Roma (il cui direttivo è era stato sospeso dal presidente Nazionale prima del reintegro da parte dei Garanti nazionali, il cui presidente però, si è dimesso*...).


Intanto cerchiamo di capire quello che è successo:
Un ragazzo di 22 anni è stato preso di mira da tre coetanei perché gay, nel quartiere romano di Trastevere. Quindi è stato attaccato in modo brutale: con un coccio di bicchiere, all'orecchio

L'aggredito si chiama V., è romano e studente**,
è stato colpito con un coccio di un bicchiere
No
Ferito con cocci di bottiglia**
era a cena con due amiche (corsera), tre amiche (QueerBlog), alcune amiche (tutti gli altri) quando è stato preso di mira da tre coetanei.  A denunciare pubblicamente l'accaduto è Fabrizio Marrazzo presidente Arcigay Roma e responsabile della Gay Help Line alla quale la vittima si è rivolta, dopo aver sporto denuncia alle autorità. Marrazzo così racconta:
Stava trascorrendo una serata con alcune amiche in un locale a Trastevere, quando tre ragazzi romani di circa venti anni hanno cominciato a prenderlo di mira perché gay: si sono avvicinati al suo tavolo e gli hanno rivolto battute e insulti omofobi. (...) poco dopo, sempre in compagnia delle sue amiche, ha lasciato il locale ed è stato inseguito dai tre ragazzi che hanno ripreso a insultarlo e, dopo un diverbio, è stato colpito con un coccio di un bicchiere al padiglione auricolare riportando una ferita che avrebbe anche potuto costargli la vita se il colpo fosse stato inferto pochi centimetri più in basso, all’arteria.

Hanno cominciato a prenderlo di mira perché gay.
Come se ne sono accorti i tre bulli omofobi che V. era gay?

Non è una domanda peregrina. Ma una domanda seria.
Era forse V. effeminato?
O indossava abiti secondo i tre aggressori poco virili?
Oppure era in compagnia delle sue amiche e non ci provava e dunque era un frocio?

Quali sono i marcatori per cui i tre aggressori hanno deciso l'orientamento sessuale dell'aggredito?
A meno che non fosse in evidenti effusioni omoerotiche con un altro ragazzo quali sono gli elementi per cui si viene identificati come gay e per questo aggrediti?
Perché nessuno si pone questa domanda dando tutti per scontato che un gay si riconosce (ah già dimenticavo c'abbiamo stampato in fronte sono frocio).
Insomma visto che la scritta in fronte non c'è quale elemento nel comportamento della vittima ha suscitato fastidio negli aggressori?
E' importante saperlo anche per capire la loro psicologia.
Ma tutti tacciono.
Anche Marrazzo che pure a V. lo avrà visto (?).
E' gay e questo ci basta.
Tanto si sa siamo tutti gay allo stesso modo (e no perdio no!!!).
Marrazzo ha la decenza di non specificare gli insulti (sul sito arcigay roma), cosa che invece viene fatta negli articoli che, pure, riportano la sua dichiarazione:
è stato inseguito dai tre ragazzi che hanno ripreso a insultarlo ("frocio, ricchione**).

Domanda. Sentirsi dare del frocio o del ricchione è un'offesa? Se io cammino per strada e mi sento gridare a frocio la mia prima reazione non è di sentirmi offeso ma di rispondere E FIERO DI ESSERLO.
Io mi offendo se mi sento dire che IN QUANTO FROCIO sono pedofilo (come fece Fini) o che sono moralmente disordinato (come fa la chiesa) o malato (come dice Binetti) che non mi posso sposare (come dice lo stato italiano...).

Insomma l'inulto sta nella testa degli aggressori e in quella dei giornalisti, ma non in quella di V., spero, che, nonostante l'aggressione, dovrebbe essere ancora contento di essere quel che è.
Allora l'omofobia non sta nell'insulto a frocio ma nel fatto che mi disturbi perché sono diverso da te (mi sento dire molto più spesso a ciccione che a frocio forse perché si vede più la ciccia che il mio orientamento sessuale).

Ancora.
Mentre i tre aggressori insultavano V. nel ristorante, prima, e per strada, poi, LA GENTE CHE FACEVA?
Se sto in un ristorante e vedo dei ragazzi che disturbano una ragazza io intervengo. Idem se tre fascisti di merda aggrediscono una checchina imberbe con le sue amiche. E io ai tre omofobi di merda il bicchiere glielo ficco su per il culo. Io e tutte le altre persone del locale, che, fossimo cittadnini, butteremmo a calci in culo (meglio, in faccia a rompere tutti i denti) le tre merde. Capeggiati dal gestore del ristorante CHE HA RESPONSABILITA' LEGALE per quello che succede nel suo locale ai suoi clienti.
Lo stesso vale in strada. D'altronde quante volte, se siamo in giro di notte, da soli, temiamo un'aggressione ? Mentre, pensiamo, se c'è a gente, non ci può capitare nulla di male. Un po' perchè la presenza della gente disincentiva i malintenzionati, un po' perché la gente, vivaddio, mi aiuterà. Invece i yre aggressori hanno potutto agire indisturbati, rpijma, nel locale, e dopo, per strada.

La cosa gravissima è che nessun cronista e nemmeno Marrazzo, che è (o dice di essere)un militante ha sottolineato l'assenza di aiuto da parte dei clienti del ristorante o della gente per strada. O erano le 4 del mattino?
Anzi la dinamica di tutta la faccenda è fumosa...

ha lasciato il locale ed è stato inseguito dai tre ragazzi che hanno ripreso a insultarlo e, dopo un diverbio, è stato colpito con un coccio di un bicchiere
Ma come?  A trastevere c'è gente anche alle due di notte! Possibile che nessuno sia intervenuto? E poi V. è andato via perchè indotto dagli insulti o perchp aveva finito di cenare? I tre ragazzi erano rimasti nel locale ho aspettavano V. Fuori? Perché se stavano nel locale V. non si è accorto che lo seguivano? Perché non ha chiamato subito il 113? Perchè non è rimasto in un posto affolato?
Dove è avvenuta l'aggressione? C'era gente o no? E LE DUE\TRE\ALCUNE AMICHE CHE CAZZO HANNO FATTO?

Insomma Marrazzo continua  strumentalizzare pro gay help line ogni aggressione ai danni di persone omosessuali per il suo tornaconto e non sa fare politica. Ecco cosa si dice nel comunicato arcigay:
“E’ una vicenda sconcertante – aggiunge Marrazzo – non si può subire un’aggressione così violenta perché gay. Un ragazzo di 22 anni non può essere segnato per tutta la vita nel corpo e non solo perché tre coetanei lo aggrediscono in questo modo al termine di una serata tra amici. Quest’anno, durante il quale si sono verificati molti casi di discriminazione e violenza, si conclude nel peggiore dei modi”.
No Marrazzo NON SI PUO' SUBIRE UN'AGGRESSIONE VIOLENTA IN MEZZO ALLA GENTE. Perchè non denunci l'omertà della gente? L'indifferenza. Non è forse omofobia anche quella? Non esiste forse il reato di mancato soccorso?

“Bisogna rispondere con più forza e con strumenti adeguati anche e soprattutto dal punto di vista normativo a episodi di questo tipo – afferma l’avvocato Daniele Stoppello, responsabile Ufficio Legale di Gay Help Line – e contrastare il disagio in cui l’omofobia ha origine dal punto di vista sociale e culturale.
Disagio? Quale disagio? di chi ? quello dei tre aggressori infastiditi da una checchina che si sono potuti permettere insulti nella piena indifferenza degli astanti (almeno epr quanto ne sappiamo)?
Rivolgiamo un appello ai testimoni perché si mettano in contatto con le Forze dell’Ordine e ci auguriamo che siano individuati al più presto i responsabili di quanto avvenuto.
Certo.  Io ero lì. Non ho alzato un dito per dire ai tre aggressori SMETTETELA me ne frego quando vedo i tre che seguono l'aggredito però poi mi rivolgo alla polizia... CHE COME MINIMIO DOVREBBE ARRESTARMI VISTO CHE NON SONO INTERVENUTO magari ciamando le forze dell'ordine se temo per la mia incolumità (o il proprietario del locale per dire a lui id fare qualcosa) insomma MARRAZZO FAI QUALCOSA DI SINISTRA!!!
 Invece no gli omofobi poverini sono figli del disagio... Vuoi vedere che d'ora in pio non potrò più mettere la maglietta di strass perchè abbaglia l'avventore del tavolo vicino, poveretto...

ZINGARETTI: "GESTO CHE INFANGA NOSTRA CITTÀ"
"Voglio esprimere la solidarietà mia e di tutta l´Amministrazione provinciale al ragazzo gay aggredito a Trastevere, un grave episodio di omofobia che le istituzioni devono condannare con fermezza. La speranza è che siano individuati al più presto gli autori di questo gesto vergognoso".
Lo dichiara, in una nota, il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti.
"Dobbiamo isolare e punire i violenti che infangano il nome della nostra città e bisogna rilanciare con forza l´ impegno per una norma severa contro l´omofobia, che va contrastata soprattutto dal punto di vista sociale. A sconcertare è ancora una volta la giovane età degli aggressori, che hanno preso di mira un proprio coetaneo. E´ il segnale - conclude Zingaretti - che non possiamo più aspettare per portare avanti una grande battaglia culturale che coinvolga tutti i cittadini, in particolar modo i più giovani".
Di nuovo. E gli astanti? la gente che c'era nel ristorante  e per strada?

AGGRESSIONE A GAY, POLVERINI: "CHI SA CONTRIBUISCA A TROVARE RESPONSABILE"
"Ancora una volta assistiamo a gravi violenze verbali e fisiche nei confronti dei gay. Sono gesti vergognosi che condanniamo fermamente".
Già. come per i Panda in via di estinzione...

Utile ricordare che le due marchette politiche cerchiobottiste sono d'obbligo cisto che la gay help line prende soldi sia da provincia e che da regione...

quindi anche se Polverini è cotale donna bisogna incensarla , almeno finché tiene i cordoni della borsa aperti (per la tua Gay Help Line, chissenefrega se li chiude per i teatri e la cultura. Marrazzo è degno degli avventori del ristornate che hanno pensato ai cazzi propri... anche lui pensa ai cazzi suoi)
Lo dichiara, in una nota, il presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, in merito all´ episodio di violenza denunciato dall´ Arcigay, esprimendo "solidarietà a titolo personale e della Regione al giovane aggredito a Trastevere".
"E´ importante -prosegue - che chiunque possa contribuire ad individuare i responsabili faccia la sua parte dimostrando, soprattutto in questo periodo, sensibilità e senso civico, affinché chi ha commesso la violenza sia punito.
E anche lei non si rende conto che già chi c'era e non ha mosso un dito ha dimostrato di non avere senso civico e sensibilità alcune
La Regione Lazio - conclude - è impegnata con convinzione nella lotta all´omofobia e a qualunque forma di intolleranza, anche attraverso la Gay Help Line, strumento utile per dare supporto a chi è vittima di discriminazioni sessuali".
Infatti. Si è visto come Marrazzo ha sottolineato la responsabilità morale (e civile) dell'omertoso silenzio di quanti hanno assistito senza muovere un dito.

Non c'è che dire.
Anche chi dovrebbe essere all'avanguardia di una lotta politica da un alto è compromesso con le istituzioni e non può quindi strigliarle dall'altro è vittima della stessa mentalità fascio individualista e da gossip di tutta l'informazione...

Ma c'è dell'altro... che rende, se vero, la faccenda molto più grave e l'omertà di Marrazzo criminale (l'omertà non Marrazzo... che poi mi accusano di calunnia)

Stranamente Arcigay Roma non riparta la notizia a differenza dell'Ansa (verso la quale sono propendo a un po' di fiducia in più...) che aggiunge:

Dopo due giorni, con la divulgazione della denuncia, si arriva però anche all'identificazione dell'esecutore materiale di questa ennesima aggressione omofoba. Nell'ambito delle indagini della squadra mobile di Roma, che in queste ore sta effettuando interrogatori serrati sull'accaduto, è stato identificato, in serata, proprio chi avrebbe colpito la vittima.
Perchè, ha colpito uno solo? Quale dei tre?
Emerge, poi, anche un altro particolare inquietante: qualcuno, nell'imminenza della aggressione, avrebbe infatti coperto i tre giovanotti. Si tratterebbe del dipendente di un ristorante che, vedendo la scena, avrebbe incitato i tre a scappare, per non essere intercettati dalla polizia.
Quindi hanno visto.
Quindi è avvenuto in mezzo alla gente.
Paesanini farebbe arresti di massa e un anno di carcere per ogni omissore di soccorso.
Paesanini.
Io, ciccione inacidito, da solo non poso fare un cazzo.

Giuro però su mia madre che alla prima aggressione cui assisto sfascio la sedia in faccia a chi si permette di dire a frocio senza neanche dirgli di smetterla.


* fonte: Notiziegay.com

** Corsera.it cronaca di roma la discrepanza sta tra quanto riportato nell'articolo (coccio di bicchiere) e quanto nell'occhiello (coccio di bottiglia)

mercoledì 15 dicembre 2010

oggi parte la III edizione di Omovies!!!


Al via la terza edizione del festival “Omovies
sul grande schermo il cinema a tematica omosessuale
Quattro giorni di proiezioni e dibattiti su solidarietà e sessualità

Il Festival, arrivato alla sua terza edizione, si articola in una selezione di lungometraggi a tematica omosessuale e da un concorso per cortometraggi.

Programma delle proiezioni presso il cinema Academy Astra via Mezzocannone 109, Napoli
Tutte le proiezioni, i dibattiti e la tavola rotonda, sono a ingresso gratuito

La novità di “Omovies” - insignito nel 2008 del riconoscimento di miglior evento gay dell'anno - è la peculiarità questioning. Significa affrontare la tematica omosessuale e queer non esclusivamente dal punto di vista gay ma anche da un punto di vista straight che non sia necessariamente eteronormato. Dunque descrivere ma allo stesso tempo capire e discutere di come il mondo omo è percepito dal mondo nel quale viviamo.

Una giuria variegata valuterà le opere: presidente e madrina sarà Vladimir Luxuria; padrino sarà lo showman Fabio Canino, fra i giurati gli attori MarJo Berasategui, l’ex porno divo Carlo Masi, Miky Falcicchio, Susy Fuccillo, Raffaella Fico, Luigi Petrazzuolo, Roberta Inarta direttrice della Scuola di Cinema di Napoli, e tanti altri (vedi elenco allegato).

Il Festival si articolerà in quattro giornate di proiezioni che avranno luogo al cinema Astra di via Mezzocannone, a partire da mercoledì 15 con l'apertura affidata a Fabio Canino, fino a sabato 18 con la premiazione che avverrà nel corso di una cerimonia di gala condotta da Miky Falcicchio e Miss Priscilla Drag Queen.

Domenica 19, closing party al “Foyer Salone Margherita” in via Santa Brigida, in collaborazione con lo staff di Muccassassina di Roma che per la prima volta sarà a Napoli per promuovere l'Euro Pride di Roma.

Omovies è ideato e promosso dall'Associazione di Promozione Sociale “i Ken onlus” con il contributo economico del Comune di Napoli - Assessorato alle Politiche Sociali e Giovanili - del Servizio Giovani e realizzato in partenariato con l'Università degli Studi di Napoli “Federico II”, con il Coinor (Centro di Ateneo per la Comunicazione e l'innovazione organizzativa), l'Adisu di Napoli (Azienda pubblica per il Diritto allo Studio Universitario) con la convenzione con l'Università degli Studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa” e Mediateca comunale “Santa Sofia” e il patrocinio morale della Provincia di Napoli.
È un progetto sociale destinato ai giovani delle fasce marginali dell'area metropolitana di Napoli ed è infatti inserito nel Piano Locale Giovani sostenuto con un contributo delle Legge 285 e per questo prevede l'accesso gratuito alle proiezioni.
Programma  delle proiezioni presso il cinema Academy Astra via Mezzocannone 109, Napoli
Tutte le proiezioni, i dibattiti e la tavola rotonda, sono a ingresso gratuito
Mercoledì 15
Giovedì 16
Venerdì 17
Sabato 18
h 17.00

Riparo  (Italia/Francia, 2007)
di Marco Simon Puccioni
35 mm 100’


h 17.00

Alla Luce del Sole  (Italia, 2010)
di Federico Cappabianca
dvd  56’


h 18.00

A Cavallo tra i Mondi (Italia, 2008)
di Cristina Capone
dvd 46’


h 17.00

Senza Amore  (Italia, 2007)
di Renato Giordano
35 mm 100’


h 18.00

RED CARPET
a seguire (h 18.45)

dibattito
“Omofobia e Immigrazione: dal cinema alla realtà”

h 19.00

Tavola Rotonda
“Cinema Omosessuale: visibilità e distribuzione”
a seguire  (h 18.45)

dibattito sul film
con il regista Renato Giordano
  
h 20.00

Folder (Italia, 2010)
di Cosimo Terlizzi
dvd 74’

h 21.00

Zanzibar Una storia d’Amore
(Italia, 2009)
di Francesca Manieri e Monica Pietrangeli
dvd 45’

h 20.00

Donne-moi la main
(Francia/Germania, 2008)
di Pascal-Alex Vincent
dvd 80’

H 20.00

Concorso
CORTOMETRAGGI OMOVIES

proiezioni e premiazioni
h 22 00

+ o - il sesso confuso Racconti di mondi nell’era aids (Italia, 2010)
di Andrea Adriatico Giulio e Maria Corbelli
dvd 92’

h 22.00

Plan B (Argentina, 2009)
di Marco Berger
dvd 103’

h 22.00

Mater Natura (Italia, 2005)
di Massimo Andrei
35 mm 90’



 
TAVOLA ROTONDA
CINEMA OMOSESSUALE VISIBILITÀ E DISTRIBUZIONE

Elenco partecipanti

Lorenzo Gigliotti Professore di teoria e tecnica del linguaggio cinematografico
                                                                                              Università di Salerno
Cristina Capone   (Sirka) Regista
film proiettato al festival A Cavallo tra i Mondi (Italia, 2008)

Monica Pietrangelo regista
film proiettato al festival Zanzibar Una storia d’Amore (Italia, 2009)

Renato Giordano regista
film proiettato al festival Senza Amore  (Italia, 2007)

Cosimo Santoro  Direttore della Distribuzione Atlantide Entertainment film proiettati al festival

            Donne-moi la main (Francia/Germania, 2008) di Pascal-Alex Vincent

            Plan B (Argentina, 2009) di Marco Berger

Modera Alessandro Paesano responsabile programmazione Omovies 2010


venerdì 10 dicembre 2010

Nonostante i suoi sbagli l'Onu serve sempre di più...
a proposito dell'eliminazione dell'Onu dell'orientamento sessuale tra le condanne delle esecuzioni extragiudiziali, sommarie ed arbitrarie.

La notizia non è di ieri, e nemmeno dell'altro ieri, ma quasi di un mese fa. Una commissione dell'Assemblea generale dell'Onu ha espunto da una risoluzione che condanna le esecuzioni ingiustificate lo specifico riferimento alle uccisioni per l'orientamento sessuale.

Le delegazioni occidentali hanno espresso disappunto sul voto per cancellare il riferimento dalla risoluzione che riguarda le esecuzioni extragiudiziali, sommarie e arbitrarie.
La dichiarazione del 2008 includeva un esplicito riferimento alle uccisioni determinate dalle preferenze sessuali della vittima.
Ma quest'anno Marocco e Mali hanno introdotto una modifica per conto delle nazioni africane e islamiche per chiedere la cancellazione dell'espressione "orientamento sessuale", da rimpiazzare con "ragioni discriminatorie su qualsiasi base". La modifica è passata per 79 voti favorevoli a 70 contrari.
La risoluzione è stata poi approvata dalla commissione, che include tutti i 192 Stati membri, con 165 voti favorevoli, 10 astenuti e nessun voto contrario (fonte reuters).

Io ne sento parlare solo adesso perchè ieri, Fiamma Nirenstein, di cui ebbi modo di parlare più di due anni fa perchè denunciò per antisemitismo Vauro che in una vignetta la dipinse come novella mostro di Frankenstein per essersi candidata nella PdL insieme a Mussolini (Alessandra) e Ciarrapico, entrambi filofascisti mai dissociatisi dalle leggi antirazziali del duce (Nirenstein è ebrea) con la scusa di denunciare il gesto omofobo dell'Onu se la prende contro l'istituzione stessa rea di  aver condannato per violazione dei diritti umani la Cina solo tre volte mentre gli Usa, per le loro gravi, gravissime violazioni, sono condannati ben 7 volte e Israele alcune decine (...) (fonte Il Giornale).

Qualche frocio di destra (e non )potrà anche stupirsi o gioire che Nirenstein apparentemente difenda i gay. Io sono stufo dell'ennesima strumentalizzazione riservata a noi gay (e lesbiche e trans e queer e intersex) con la scusa che siccome ci piace prenderlo lì (in culo) tanto vale farlo anche metaforicamente...

Che amarezza!

venerdì 5 novembre 2010

più siamo divisi e più ci possono insultare...

(a proposito delle affermazioni dell'arcivescovo belga Andre Joseph Leonard)

Basta che un deficiente qualsiasi parli, che noi cittadini glbqti  (e amici) siamo solleciti a dargli eco mediatico riportandone su blog e siti le affermazioni irriportabili. E' successo anche con l'arcivescovo belga Andre Joseph Leonard che ha affermato che l'aids è una punizione divina per i gay (come al solito le lesbiche non contano...). Una posizione vecchia di 20 anni, quando l'aids era la peste dei gay, e la stampa dava ragione a questo errore enorme tanto da causare il contagio di molti uomini etero e di tutte le donne...
Nel 2010 è una posizione ridicola, contraddetta dalle cifre di qualunque rapporto sull'aids che vede i gay in buonissima compagnia etero...
Grazie a googole incappo in questo post su un sito che non conosco dal titolo One Woman... e penso che, dato il titolo, sia un sito che alle donne debba essere particolarmente interessato. Invece, nell'articolo si leggono affermazioni grossolane quanto quelle dell'Arcivescovo e nemmeno due parole, due, sulle donne. Leggiamo:
L’AIDS, un grave problema che affligge l’intera umanità e soprattutto le popolazioni meno sviluppate, sarebbe la giustizia intrinseca per gli omosessuali.
Perché non specificare genere e orientamento sessuale e limitarsi a un generico e retorico intera umanità? L'arcivescovo si sporca le mani, lo faccia anche Floriana Giambarresi, l'autrice del post...
Non è una nostra affermazione, ovviamente, ma quella dell’arcivescovo belga Andre Joseph Leonard, che ha espresso tali dure parole verso il popolo gay nel corso di una recente intervista.
Innanzitutto è bene sottolineare che l’arcivescovo in questione aveva in passato dichiarato che i sacerdoti colpevoli di aver abusato sessualmente di bambini e ragazzi minorenni potrebbero anche non essere puniti perché questa non deve essere considerata come una vendetta nei loro confronti.
Questa che?La pedofilia, poi, non è solo omosessuale, per ogni bambino abusato dai preti ci sono due bambine... Ma si sa, l'omofobia è davvero in agguato dentro ognuno di noi
Gli omosessuali, che fanno sesso come tutto il resto del mondo, invece devono essere puniti con l’AIDS.
Quindi invece di evidenziare l'errore logico dell'affermazione dell'arcivscovo Floriana preferisce arrampicarsi sugli specchi del se noi siamo colpevoli perchè gay voi lo siete perchè pedofili...
Per quale motivo?
me lo chiedo anche io...
Secondo il prelato, l’omosessualità è una parodia della natura, e quando si tenta di maltrattare la natura questa tende a vendicarsi da sola. Ed ecco spiegato il perché della sieropositività.
Un dato sulle donne sieropositive? Sugli uomini etero sieropositivi? Sui due milioni di africani eterosessuali, sposati e con prole, che muoiono all'anno?  Un cenno alla sessuofobia del Vaticano? Alle dichiarazioni deliranti di Benedetto XVI che nega il valore dei profilattici per combattere la diffusione dell'aids in Africa?
Macchè ci si limita al compitino antiomofobia che, francamente, inizia a rompermi i coglioni.
Dichiarazioni a dir poco omofobe che non mancheranno di far discutere e che hanno tra l’altro portato alle dimissioni del suo portavoce Juergen Mettepenningen, secondo quanto si dice nelle ultime ore.
Fare discutere  PERCHE' SONO SCIENTIFICAMENTE FALSE o perchè esprimono una opinione omofoba?
Ma se l'aids non riguarda solo i gay e qualcuno dice che invece lo è, chi risponde sei un omofobo invece di ricordare che l'aids riguarda anche le donne e gli etero non lo è anche lui (lei) un pochino? Perché pensa che ricordare ai froci che si crepa di aids è omofobo come sei di aids crepassero solo i froci?  Invece di criticare l'illogicità dell'equazione aids=omosessualità si grida all'omofobia ma allora quel collegamento, quell'equazione, anche per chi critica l'arcivescovo un senso logico ce l'ha.Insomma aids e omosessualità hanno ancora un canale privilegiato, nel 2010 in barba ai dati statistici
Pertanto, l’AIDS sarebbe una punizione che la natura darebbe alle persone responsabili di violenze. Peccato che quando si parla di omosessualità si parla di amore, si parla di due persone che si amano l’un l’altra come qualunque altra coppia eterosessuale, e non si parla di violenze, almeno non nei casi di normalità.
Mia cara sprovveduta scrittrice, quando si parla di aids si parla  di sesso, di promiscuità, qualunque sia l'assortimento sessuale della coppia, di mancanza di protezione (un profilattico riduce la possibilità del contagio praticamente a zero, non proprio, ma quasi) non di amore. Non è l'amore a contagiarti ma il sesso non protetto!
Visto che in Italia grazie anche al Vaticano campagne di informazione non ce ne sono ecco una bella occasione mancata per ricordare cosa fare per non farsi contagiare...
Risulta davvero molto difficile pensare all’eliminazione dell’omofobia quando sono le guide spirituali delle comunità a negare questa possibilità.

E anche quando autrici come te mia cara Floriana continueranno a scrivere mancando del tutto l'obiettivo!
 

giovedì 4 novembre 2010

E a me spiace che il figlio di Santanchè abbia lei come madre!

Mio figlio ha 14 anni e sono contenta che sia etero. (...)
Mi sembra evidente che tutte le mamme preferiscano un figlio eterosessuale che omosessuale per due motivi: in primis per un problema di procreazione perché tutte vogliamo diventare nonne; secondo perché auguro a mio figlio una vita più semplice e essere omosessuale la complica.

Lo ha detto, nel corso della trasmissione 'la Zanzara' su Radio 24, il sottosegretario all'Attuazione del programma Daniela Santanchè. (fonte Virgilio notizie)

Ora a parte il fatto che sulla rete è sempre più difficile verificare la fonte delle notizie riportate (non ho trovato la registrazione audio della trasmissione,  quindi devo fidarmi dell'autorevolezza della fonte, altre trascrizioni delle dichiarazioni di Santanchè girano sulla rete, se qualcuno sa come arrivare alla fonte mi contatti per favore) quel che mi sorprende sono i commenti a questi suoi (s)ragionamenti che rimangono sul vago, accusando l'omofobia del sottosegretario, senza entrare in merito alla questione.

Che a Santanchè i gay non piacciano da estrema fascista qual è non mi meraviglia, né mi interessa.  Non solo perchè siamo in uno stato libero e ognuno ha diritto  pensarla come vuole, ma perchè in quanto cittadino, e in quanto gay, non chiedo certo agli altri il permesso di vivere la mia vita come meglio credo dentro e fuori dal letto.
Se il ragionamento di Santanchè ha un vizio di forma perchè offuscato da un pregiudizio allora non è per la causa ma per il buon uso della logica che intervengo.
Che molte madri di figli gay possano temere per i loro figli una vita più difficile è vero, così come temo per i loro figli una vita di solitudine senza una vera famiglia.
Questo perchè per motivi molto diversi, fino ad oggi, per il resto d'Europa fino a una decina d'anni fa, i gay erano incentrati sull'edonismo e consumismo sessuali e anche le mamme sanno che dalle scopate nelle dark non nasce una famiglia...
Ma oggi i gay chiedono di diventare famiglia, e in molti Stati Europei lo sono, le fanno, compresi i figli.
Figli che lo hanno da relazione precedenti con persone dell'altro sesso, oppure fanno in virtù della famiglia che hanno formato col partner omosessuale.
In quanto alla solitudine che nasce dal pubblico ludibrio purtroppo è un serpente che si morde la coda.  Finché non ci saranno mamme contente che il proprio figlio (o la propria figlia, ma Santanchè sembra pensare solo agli uomini, da brava fascista è abituata a pensare che che le donne non contano un cazzo) sia gay piuttosto che razzista, o maschilista, non si potrà certo sperare che gay  e lesbiche possano vivere bene. Ma è un falso problema: chi è contro la violenza, contro la disonestà, contro l'ignoranza, culturale e comportamentale, oggi vive male in questo mondo. eppure nessuna madre si preoccupa se il figlio studia pianoforte...  
Honi soit qui mal y pense
Ma veniamo alla vera BUFALA del ragionamento di Santanchè. Siccome le persone omosessuali scelgono di vivere con partner dello stesso sesso si pensa per questo che siano virtualmente sterili, come disse un annetto fa e oltre il ministro (sic!) Carfagna. Ma le famiglie omogenitoriali sparse un po' ovunque in tutta Europa (e oltre) dimostrano il contrario. D'altronde il nostro è un paese a crescita zero i cui dati stanno cambiando grazie ai figli dei migranti che nascono qui non certo agli italiani\e CHE FANNO SEMPRE MENO FIGLI. Una madre di figlio (di una figlia) gay ha le stesse probabilità di diventare nonna della madre di un figlio (una figlia)  etero.
Se le differenze ci sono è anche grazie a Santanchè e al governo di cui fa parte, che ha partorito la legge sulla procreazione assistita che, tra le altre cose, ha fatto di tutto non solo per umiliare la donna, ma per impedire alle donne lesbiche di fare figli con gli aiuti di Stato.
Di una donna che dice di essere a favore delle donne e poi ne umilia continuamente la componete con un orientamento sessuale a lei non gradito non si può non notare la disonestà intellettuale.
Santanchè potrà anche essere contenta che suo figlio sia etero. A me fa pena quel figlio che ha una madre così piena di odio e così ipocrita.
Non vorrei che un figlio cresciuto con i valori (sic!) fascisti come quelli seguiti da lei e dal suo governo, diventato adulto, possa rivoltarsi contro la madre e arrivare a picchiarla o ucciderla come succede purtroppo in tante famiglie normali.
Potete pure pensare che sia un mio desiderio.
Io so che è solo un'eventualità che mi fa paura.
Ma, come si dice, chi causa il suo mal...


mercoledì 3 novembre 2010

Meglio gay che Berlusconi



Ieri sera c'è stato un sit-in di fronte Palazzo Chigi, sul lato di Piazza Colonna. Ma l'uscita di Berlusconi, per quanto volgare, reazionaria e idiotic come ha detto ieri mattina Julian Moore (rispondendo a una domanda di Maria Pia Fusco) è solo la mossa furba di chi vuole distogliere l'attenzione dia veri problemi del paese. Capisco l'indignazione, ma forse, fare il sit in, al quale ho partecipato anche io, rischia alla fine di fare il suo gioco.
Dovremmo trovare altre forme di protesta e, in quanto gay ricordare al premier di occuparsi dell'Italia e dei suoi problemi, come ha ricordato Niki Vendola.

The Rocky Horror Glee Show: a very first disappointment for a terrific show!

You Know I Do love Glee, since the Pilot. Some episodes are better some are worse, but it's a great show.
Until the latest episode aired in USA October 26th. The entire episode was an hommage to The Rocky Horror Picture Show but the authors made an unbearable, unforgivable mistake: they gave the role of Frank 'N Further to a woman. everything was revolutionary, outraging anti-bourgeois was killed by that switch of genre.
Frank is a sweet transvestite, a sweet Transvestite,  but he doesn't really wear a dress. He's more a bisexual than a transvestite. He sleeps with men and women and he doesn't care if that can be a risk for his masculinity. So he says fuck it I'm a transvestite, I'm not afraid to be like that, I'm so full of sexual energy that I can take the risk of loosing a little of it. 'Cause I've plenty of it because I'm a transvestite from Transsexual Transylvania. He is ALL: man, woman, transvestite, transsexual. Giving that part to a woman,  without reversing all those implication kills the character, gives his extraordinary subversive power away. I'm so disappointed and disillusioned that I want to stop watching Glee!

Wonder why I wrote this post in English...

Anyhow compare the Glee version of it with the original Sweet Transvestite...



martedì 2 novembre 2010

The Kids Are Alright, il film un po' meno

Dal titolo pensavo si trattasse di un film nel quale si voleva dimostrare che i figli di una coppia omogenitoriale stano bene ma, come mi ha spiegato Julian Moore in conferenza stampa, quel kids si riferisce a tutti non solo ai figli.
Sto parlado di The Kids Are Allright (USA, 2010) di Lisa Cholodenko unico film a tematica off Hollywood presente alla quinta edizione del Festival Internazionale del film di Roma.
Il film ha il pregio di mostrare la famiglia composta da due donne, Annette Bening e Juliane Moore, che hanno usato seme dello stesso donatore crescendo insieme due figli (una diciottenne, l'altro quindicenne) come una famiglia normale che non deve dimostrare di possedere gli standard di genitorialità di una famiglia etero. Le due donne sono una famiglia e sono mamme. Punto.
Al contempo però il film ha il difetto di raccontare una storia dove l'omogeitorialità non ha alcun elemento specifico e di spacciare una trama da film anni 50 di corna (grazie Elio!) per novità data la presenza di due lesbiche.

E anche se nel film, come ha risposto Julian Moore alla mia domanda, non si fa una questione di eterosessualità e omosessualità, preferendo la prima alla seconda, ma solo una questioe di sesso coiugale (lesbico) e sesso extraconiugale (etero), nessuno mi leva dalla testa che il film sia sessista.
Il sesso tra le due donne è fatto di routine, di vibratori, di film porno (gay) per eccitarsi, tutto sotto le coperte, mentre Julian Moore si dà da fare con Annette, non vista.
Il sesso extraconiugale, è fatto con un uomo, dove la novità è il cazzo (letteralmente, Julian spoglia il loro donatore di sperma e dice al suo membro benvenuto) secondo il peggiore cliché sessista e maschilista che due donne a letto senza uomo mancano di qualcosa.
Se fosse solo una questioen di routine contro novità, perchè mostrare un'altra copula che il donatore consuma con una giovane ragazza nera, in molte delle posizioni del Kamasutra? A cosa serve quella scena se non a ripristinare l'ordine naturale mostrando quante cose in più si possano fare quando di mezzo c'è un uomo?
Quello che il film sembra dire è che col cazzo è tutto un altro andazzo. La cosa che mi disgusta è che i miei amici froci trovano il film eccezionale (con l'apologia del cazzo che vi si fa a ben vedere non dovrei meravigliarmene più di tanto) e che solo quelli etero notano l'inganno, l'impianto stantio della trama, il sessismo e il maschilismo di fondo...
Sono stufo di lottare su due fronti. I froci sono i peggiori nemici di loro stessi.
Beh, non proprio tutti.

Postilla (del giorno dopo). In sala, durante la conferenza stampa,  una donna alquanto sinistra, più giovane di me ma con delle idee talmente arcaiche da far sembrare Benedtto XVI un rivoluzionario, ha detto che ciò che nel film l'ha meravigliata è come viene trattato il padre.
E' inutile che Julian Moore si è prestata a specificare, come fa il personaggio di Annette Bening nel film, che si è genitori quando si crescono i figli, non solo per averli messi al mondo. Il donatore di sperma secondo la sinistra giornalista non diventa padre quando conosce i sui figli da adolescenti ma lo è a prescindere, per essere il ...proprietario del seme che ha fecondato le due donne.
Per comprendere bene l'assunto vi devo raccontare un po' di trama, quindi ATTENZIONE SPOILER se non volete sapere niente della trama del film non andate oltre.
Laser, il figlio 15enne, (sì si chiama così) ha cercato lui il "padre" che lo ha  concepito nemmeno con un atto sessuale (come dire lui e sua madre si sono piaciuti almeno per il tempo di una scopata) ma che ha solo donato lo sperma. Poi mentre sua sorella che all'inizio era scettica entra più in contato col "padre" il ragazzo mantiene con l'uomo un rapporto freddo (che il padre rispetta. C'è più imbarazzo tra maschi il padre nemmeno lo abbraccia a differenza di quanto fa con la figlia, gli dà solo delle virili pacche sulla schiena o gli mette un braccio sulle spalle). Il rapporto col padre lo porta comunque a notare (da solo però) l'inadeguatezza di un suo amico scemo col quale Laser si accompagna sempre (tanto che le sue due madri hanno pensato possa essere gay) quando questi vuole pisciare in testa (letteralmente)  un cane randagio che incontrano per strada. Laser gli dice che è matto, l'amico gli dà un pungo in faccia e Laser se ne va sputandogli ai piedi il sangue che gli ha fatto uscire.
Quando la famiglia rischia di sfasciarsi perchè Annette, che non è stupida, scopre la tresca che Julian ha con lui, entrambi i figli reagiscono percependolo come un intruso che ha messo zizzania a casa. Così quando, nel finale del film, il donatore cerca di ricucire lo strappo e, dalla finestra, saluta Laser, questi si alza incazzato uscendo dalla visuale del padre. Chiaro il perchè no?
Io ti ho cercato perchè ti volevo conoscere, ti sei messo a fare l'amico e poi scopi con la donna di mia madre, madre di mia sorella, tu che sei padre di entrambi?
La giornalista sinistra si è meravigliata di questa reazione sciorinando il suo manuale di psicologia adolescenziale maschile dicendoci (ammorbandoci) si sa che a quell'età un ragazzino, ha davvero usato questo termine, ha bisogno di una figura maschile di riferimento. Modo davvero pessimo di ragionare, come a dire che se non hai un padre accanto non impari bene a fare il maschio (non a essere uomo perchè sei uomo e non hai bisogno di altri per esserlo, lo sei già!) cioè a come ci si tocca il pacco quando passa una ragazza che ti vorresti scopare...
Invece Laser ha dimostrato esattamente (e questo il film lo dice, ma bisogna saperlo vedere) come, nonostante l'assenza di una figura paterna, sia cresciuto molto più equilibrato del suo amico che è stato cresciuto da un padre bullo che trova divertente le pisciate sui cani (c'è un'altra scena di fisicità padre figlio, il cui contatto intimi è sublimato in qualche modo dagli odori corporei papà hai le ascelle che puzzano di culo bruciato gli dice).
Non che il padre dell'amico bullo di Laser sia per forza un cattivo padre questo il film non ce lo dice. Ci dice però che un figlio per crescere equilibrato può fare a meno di un padre basta che ha una famiglia armoniosa che lo cresce.
In ogni caso il donatore non è padre solo per aver dato lo sperma.
Non lo sarebbe stato nemmeno se avesse fatto l'amore con la madre di Laser per metterla incinta. Un padre è una persona che cresce un figlio insieme alla madre o da solo. E NON IMPORTA IL LEGAME GENETICO CHE HA O NON COL FIGLIO. Un padre è tale anche se il figlio che cresce non è suo. Odio questa espressione. Il figlio è di un padre non per i geni che li accomunano ma per la storia in comune. Perché il padre ha cresciuto il figlio. Il figlio è stato cresciuto da quella persona.
Invece siamo (beh qualcuno di noi lo è) talmente obnubilatati dall'idea aristotelica della famiglia, di una famiglia nominale, astratta, da non prendere in considerazione quella concreta che effettivamente cresce i figli (nel nostro caso due donne) a  non batte ciglio nel vedere quella famiglia sfasciarsi pur di riconoscere posto e diritti a un padre che non c'è mai stato perchè non doveva esserci, il suo ruolo essendo solo quello di donare lo sperma non di fare un figlio.
Mi fa specie che una donna, dinanzi un film che dimostra come l'importante è la famiglia e non la sua composizione di genere, senta comunque il bisogno del maschio, malgrado il film mostri che percorsi alternativi sono possibili.
Mi fa specie anche perchè, nel caso di una coppia omogenitoriale femminile, il percorso non è solo ed esclusivamente lesbico ma, prima ancora e al contempo, un discorso di autonomia femminile, di diritto della donna di crescere il figlio da sola, come fanno tante madri, per scelta o perchè il marito durante il percorso è andato via.
Capisco un po' di più, ma non giustifico lo stesso, se a far notare la cosa è un maschio, come il mio amico Claudio, che si sente messo da parte e vuole rivendicare il diritto del padre.
Nessuno però pensa al diritto del figlio.
Perché è il figlio a decidere di non voler vedere il padre biologico, il donatore dello sperma. Il figlio che non sopporta che qualcuno faccia soffrire sua madre, ma nemmeno la donna di sua madre che per lui è un'altra madre.
Laser è di Julian Moore e quando Julian parla alla famiglia (Annette, Laser e la sorella) per chiedere scusa per quello che ha fatto (andare a letto col donatore di sperma suo e della sua compagna) è il ragazzo a prendere per mano Annette, cioè non già la madre biologica, ma la donna che sua madre biologica ama e che lui ama più del padre biologico, perché lei lo ha cresciuto, mentre al padre biologico lo conosce da pochi giorni.
Quel gesto della mano è il maggior riconoscimento di come gli equilibri familiari non riguardino l'assortimento sessuale dato in natura (ci vogliono un maschio e una femmina per fare un figlio) ma quello dato dalla cultura (in senso antropologico) e dalla storia, la storia della tua famiglia, la tua storia. Anche se Laser ha cercato il padre, anche se sua madre biologica è andata a letto con suo padre biologico e quindi la natura potrebbe reclamare un diritto di priorità, di naturalità, rispetto Annette che non è madre biologica di Laser, Laser prendendole la mano le riconosce il diritto morale di un padre (dico padre perchè la famiglia naturale è femmina maschio). E' te che considero mio genitore dice Laser ad Annette con quel gesto, non mio padre biologico.
E se Laser non vuole saperne del padre biologico, anche se è stato lui a cercarlo, io non ci vedo un ammanco dei diritti del padre, ma l'affermazione dei diritti del figlio. Perché tutti concionano di famiglia ma sanno pensare solamente a una cosa astratta e non sanno vedere invece gli esseri umani che ci sono in ogni famiglia, anche quelle omogenitoriali o quelle omoaffettive, senza figli.
Perché SIAMO TUTTI PERSONE al di là dell'orientamento sessuale. E tutti costruiamo famiglie, che a Benedetto XVI e suoi accoliti piaccia o no.


mercoledì 13 ottobre 2010

Sul coming out di Tiziano Ferro

Non ne avevo ancora parlato perchè non mi sembrava ci fosse qualcosa da spiegare sul perchè Tiziano Ferro avesse fatto Coming Out (casomai bisognava domandarsi come mai non lo avesse fatto prima). Poi vedo alcuni amici di parrocchia storcere il naso alludendo cinicamente che Tiziano lo abbia fatto per farsi pubblicità. Ma ancora mi tengo. Fin quando stamane leggo la lettera del direttore pubblicata su TV Sorrisi e Canzoni che dice:

Care lettrici e cari lettori, in molti mi chiedete un parere sul coming out di Tiziano Ferro, che in un libro di recente pubblicazione ha dichiarato la propria omosessualità. Faccio una premessa. Sono convinto che al pubblico non interessi nulla delle abitudini sessuali di un personaggio pubblico: un artista deve poter essere giudicato in base a ciò che produce e non in base a quel che fa sotto o sopra le lenzuola. Detto questo, mi incuriosisce di più chiedermi perché un personaggio noto debba parlare della sua sessualità pubblicamente. Le ragioni per cui lo si può fare sono le più disparate: il coming out può coincidere con la fine di un percorso, spesso doloroso e complicato, e l’inizio di una vita nuova. Altre volte è una vera ribellione, verso una società in cui le diversità sono ancora sentite come un peso. Altre ancora può essere una volgare trovata pubblicitaria, magari coincidente con il lancio di un libro o di un disco. Credo che la scelta di Ferro, artista di profonda sensibilità, si orienti verso il primo tipo di confessione. Per quanto mi riguarda (anch’io l’ho fatta sulle pagine di «Panorama» qualche anno fa), posso dire che quando si diventa personaggi noti e si sono risolti i conflitti personali, è un dovere verso il pubblico instaurare un rapporto di trasparenza e di fiducia, eliminando qualsiasi zona oscura. Basta non abusarne. Alla prossima!

e capisco che quasi a tutti sfugge il senso stesso del coming out.
Tiziano Ferro dicendo che è gay non ha voluto far sapere ai suoi fan e alle sue fan che fa sesso con altri uomini bensì che HA UNA AFFETTIVITA' OMOSESSUALE.
Chi fa Coming out non lo fa, come pensa Alfonso Signorini (e non solo), per far conoscere quel che fa sotto o sopra le lenzuola. Chi è omosessuale non lo è solo a letto, lo è anche fuori dalle lenzuola. Ed è lì che serve il coming out. In tutte quelle interazioni sociali che la società considera normali solo per le coppie etero tanto da darle scontate. Il coming out serve proprio per ricordare alla maggioranza etero che quel che dà scontato non lo è poi così esclusivamente.
Poter andare a una cena pubblica col proprio ragazzo presentandolo come tale e non come un amico. Poter andare in giro per le strade di una città (o di un paese) mano nella mano o a braccetto magari dando qualche bacio occasionale al proprio compagno dello stesso sesso, proprio come fanno le coppie etero,  dovrebbe poter essere un'altrettanta normalità senza che la gente prenda in giro, insulti, o, peggio,  picchi quelle coppie diversamente assortite, come succede ancora in Italia.
Così anche quando lo fanno in buona fede, gli e le etero che dicono, in sostanza come fa Signorini (ma è in buona compagnia)  che non c'è bisogno di ostentare la propria sessualità perchè non interessa  a nessuno chi fa a letto cosa con chi, sta in realtà dicendo alle e agli omosessuali di essere invisibili. Danno loro l'autorizzazione a fare sesso a casa propria (grazie, grazie tante! Io credevo già di averlo...), ma non quella di mostrarsi in pubblico con la stessa blanda, tenera e disinvolta affettività che le coppie mostrano in pubblico con una spontaneità che non credono mai sia ostentazione e che, guarda caso, diventa tale solo quando gli e le omosessuali fanno esattamente lo stesso. Sarà per quella dannata parola, omosessuale che rimanda al sesso (e agli uomini...) ma quel che gli etero (ma anche molti finocchi e molte lesbiche) non capiscono è che si è gay non perchè si fa sesso ma perchè si ama e si ha una vita affettiva con persone dello stesso sesso. E questo ci viene precluso moralmente e legalmente. Allora forse non sono i gay e le lesbiche a ostentare ma sono le persone etero che non sono abituate a guardare con la stessa indifferenza anche a quelle dimostrazioni di affetto proprio come fanno con le persone del loro stesso orientamento sessuale.
Allora forse se Tiziano Ferro dice di essere gay in quanto personaggio pubblico è per chiedere la stessa visibilità degli etero. E per poter  portare alla luce non il sesso ma l'affettività. Per poter andare a un pranzo con il presidente della sua casa discografica col suo compagno senza bisogno di dire che è un amico. Per poter salire sul palco e dedicare una canzone al suo amore anche se è un altro uomo come lui. Per essere omosessuale sempre e non solo a letto come li vuole, ci vuole, la maggioranza etero. Affinché frocio e lesbica sia parole di amore e di affetto e non insulti.
E che Tiziano Ferro faccia Coming Out ha davvero qualcosa di sovversivo perchè dimostra che non devi per forza vestirti come Renato Zero (negli anni 70) o parlare come Cristiano Malgioglio, o apparire come Platinette per essere gay. Perché puoi essere gay anche se sembri un ragazzo etero. Perché se molti gay per sentirsi rappresentati abbracciano lo stereotipo costruito loro ad hoc dall'immaginario collettivo eterosessista ci sono tantissimi ragazzi e ragazze omosessuali che non solo non si riconoscono in quei cliché ma sono testimoni viventi della loro infondatezza testimondiando con la loro esistenza che si può essere omosessuali anche se si è normali (perdonami Mauro so che non ti piace questo aggettivo).

Purtroppo non credo alla buona fede di chi ci dice, non mi interessa cosa fate e con chi, ma non c'è bisogno che ostentate. Non credo che Signorini sia ingenuo, penso che faccia come molti il finto tonto, che cerchi cioè di spostare la vera questione ammantandola del fumo delle ...lenzuola. Perché fa comodo a loro relegarci a letto là dove sanno che siamo innocui. Là dove molti di loro vengono spesso anche a trovarci. Ma pochi hanno il coraggio di metterci la faccia e dire sono gay anche fuori dal letto. Sono gay sempre. Tiziano Ferro lo ha fatto e finalmente molti adolescenti possono vedere in lui un modello in cui identificarsi molto più sano di quelli cui i masse media oggi permettono ai gay di venire alla ribalta.
Perchè preferisci pensare
che un gay sia una sorta di errore
una cosa immorale
o nel caso migliore
un giullare, un fenomeno da baraccone
e lo tollererai solo in quanto eccezione
e lo tollererai solo in televisione
lo chiamano gay
e tu pensi ricchione
(Daniele Silvestri Gino e l'alfetta).



A Signorini ho scritto una lettera. Se mi risponderà ve lo farò sapere.

venerdì 3 settembre 2010

Stasera alle 21 nuova fiaccolata whad
per riprendere le iniziative di lotta



Ore 21, Via San Giovanni in Laterano, di fronte al Coming Out.

Dotarsi di fiaccole fischietti e bandiere Rainbow per essere visibili, per contarci e farci contare.

domenica 29 agosto 2010

Gender Docu Film Fest Day Three: finalmente ci siamo!

Terza e conclusiva serata dell'edizione pilota del Gender Docu Film Fest che presenta due film d'eccezione che finalmente rivelano la fisionomia de festival e dell'ambito in cui si muove. I film sono introdotti da Giona A. Nazzaro e Imma Battaglia (col suo piccolissimo, timido e dolcissimo nipotino che ci ha dato il benvenuto al gay village, prima, e augurato buona visione, poi) mentre tra il pubblico passano alcuni dei ragazzi del festival a distribuire dépliant nei quali sono stampate tre faccine da staccare per esprimere un giudizio sul film visto. Così in maniera artigianale ma efficace dopo la visione di ogni film abbiamo tutti votato esprimendo un giudizio di gusto consegnando le faccine :) :| :( agli stessi ragazzi che ci avevano dato il dépliant.

Inizia anche a capirsi che un festival sui gender studies può anche annoverare i film presentati nelle prime due sere, anche se non sono esattamente pertinenti, quando il festival ha una sua fisionomia concettualmente chiara e stated, cosa che è avvenuta solo nella terza serata, per cui, retrospettivamente, anche i film precedentemente recensiti mantengono un loro perchè, anche se non strettamente pertinenti ai gender studies.


Il primo film della serata è Who’s Afraid of Kathy Acker? di Barbara Caspar (Austria / Germania 2008) 84 minuti, un documentario classico sulla scrittrice post punk Kathy Ackerman. Attraverso interviste a chi l'ha conosciuta o chi l'ha potuta solo leggere (Kathy è morta nel 1997 di un cancro al seno a soli 50 anni) alternate a filmati d'epoca e interviste a lei,  il documentario ricostruisce vita fortune e sfortune letterarie e indaga sulla sua poetica centrata sul corpo sessuato come indagine dei rapporti tra uomo e donna. Un documentario  mancante dal lato "scientifico" nel quale non vengono individuati bene il contesto politico e storico in cui si inserisce la scrittrice (non c'è istanza narrante che non siano gli intervistati...), sottolineando di più il lato del vissuto personale (un atteggiamento che personalmente disapprovo, non mi interessa la persona ma l'opera) che l'impatto che la sua opera ha avuto nella storia culturale ma che sicuramente inchioda lo spettatore sulla poltrona rendendo il film quasi un'opera di Acker stessa e facendo sicuramente venire voglia di leggere i suoi romanzi soprattutto a chi, come me, non ne conosceva nemmeno il nome. Un bel documentario su un'attivista, scrittrice, intellettuale, che ha fatto del corpo femminile, del suo corpo un campo di esplorazione sui significati sociali del gender così come è connotato nella società. Una scrittrice interessante e particolare che ha riscritto i grandi classici secondo quest'ottica (dal Don Chisciotte al Great Expectation...). Un documentario che non solo si colloca bene in un festival sul gender ma che dà finalmente la giusta fisionomia a un festival i cui film sino ora erano opachi e poco chiari. XCerto sentire Imma battaglia parlare di genderism e commutare l'orientamento sessuale in un più fluido e ondivago transgenderismo dà qualche brivido alla schiena ma i film sono lì a ripristinare la precisione e il significato dei termini...



La vera sorpresa della serata è stato Prodigal Sons di Kimberly Reed, (Stati Uniti, 2008) 86 minuti, che racconta con una saggia e azzeccatissima scansione narrativa del ritorno a casadi Kimberly, ad Helena, Momtana,  dopo 10 anni di assenza, per una reunion con i compagni di classe. Kim rivede suo fratello Marc, che in seguito a un grave incidente ha perso una parte di cervello ed è soggetto a furiosi sbalzi d'umore. Kim nei dieci anni di assenza ha percorso un cammino di cambiamento. Kimberly infatti nasce come Paul e il documentario ce ne mostra filmati e foto in cui un maschilissimo  e bellissimo ragazzo mieteva cuori di ragazze. A Paul piacciono le ragazze e anche a Kimberly che infatti  è venuta con la sua compagna. Il temuto confronto con gli ex compagni di scuola si risolve in un bell'incontro  nessuno la rifiuta, tutti la accolgono benissimo (qualcuna chiede a Kim spiegazioni sul suo diventare donna se ti piacevano le donne già prima perchè diventare donna qualcuno celia sulla sua identità di genere avrei dovuto capire già allora che eri donna da come guidavi la macchina...). Poi il film ha un cambio di rotta imprevisto. Marc dà fuori di testa, così legato a un passato ormai svanito (ha problemi con la memoria a breve termine) cui il cambiamento radicale di Paul in Kim e un simbolo vivente, e cerca i suoi veri genitori (Marc è figlio adottivo), scoprendo che la amdre era (perché muore poco dopo averla trovata) Rebecca Welles! La figlia di Orson Welles e Rita Heiwarth.
Così Marc, sovrappeso, semi calvo, cogli sbalzi d'umore va in Croazia a trovare Oja Kodar (l'ultima donna di Orson e sua erede materiale e morale) che, nel vedere MArc, si commuove, dicendo quanto sia ingiusto che Orson non lo abbia conosciuto, lui che avrebbe sempre desiderato avere un figlio maschio... E si mette a piangere!!!.
Pensavo di vedere un film sulle trans (magari quelle di Marrazzo... molto poco femminili) e invece ho visto un film fantastico girato e montato da Kim stessa, una bellissima donna alla quale ho avuto l'onore di poter dire di persona quanto mi sa piaciuto il suo film e quanto mi piaccia lei.



A film finito, dopo una vera e propria standing ovation a Kim e al suo film, mentre i ragazzi delle votazioni NON passano e NON prendono il mio voto, viene annunciato il voto del pubblico, aleatorio e falso, visto che non comprende almeno quest'ultima votazione. Al pubblico in sala che protesta accorre Filippo che prende le faccine ritagliate tenendole in mano e comunque per il conteggio siamo fuori tempo massimo. Tanto il premio è stato già deciso va al film Should I Really Do It consegna il premio Nicoa Zintgarett in persona dopo che Imma Battaglia si augura che il Gay Villag gli faccia da trampolino e lo farà diventare presidente del Consiglio perché è il suo candidato di sinistra preferito (ma Imma non aveva lamentato una connotazione troppo a sinistra del Pride un paio di anni fa?).
Il premio della giuria (composta da Michael Palmieri, regista di videoclip e spot pubblicitari e Donal Mosher, fotografo statunitense) va invece a Prodigal Sons e non potrebbe essere diversamente!
Così mentre il Gender Docu Film Fest acquista finalmente una sua fisionomia e Giona A. Nazzaro si dimostra davvero incapace di relazionarsi col pubblico (quando Imma fa la prima domanda a Kim, in inglese, Giona dà il microfono direttamente alla regista per rispondere, ed è Kim a ricordargli che forse è il caso che traduca la domanda di Imma perché non tutti tra gli astanti magari capiscono l'inglese...) il Gay Village si dimostra uno spazio inadeguato per il Festival, tra i rumori della gente che chiacchiera, le visite e i passaggi di gente che resta 5 minuti e se ne va perchè il film è coi sottotitoli. Basterebbe chiudere l'area e riservarla solamente ai chi vuole vedere i film, senza aprire i due bar che costeggiano l'area, i cui avventori fanno rumore (d'altronde non gli può nemmeno intimare loro il silenzio...), almeno fino alla fine delle proiezioni. Ma, si sa, Imma che è una imprenditrice e non sta lì certo per fare cultura (come dice dinanzi a Nicola Zingaretti) una pessima imprenditrice che non è capace di coniugare le due cose perchè nessuno le rimprovera di fare soldi coi gay ma se poi concepisce il village come una mega discoteca senza un'area per chi voglia sedersi e chiacchierare invece che bere mangiare e ballare, senza uno spazio addetto alla cultura. Oppure è solo è troppo avida per rinunciare agli incassi dei due bar durante le proiezioni che, costando una birra  6 euro, sono davvero incassi cospicui... D'altronde riconosce lei stessa che gli astanti sono un pubblico di nicchia (ce lo dice proprio...!) e questo denuncia l'idea che Imma ha della cultura. Un'idea da centrodestra,  una voce di spesa a titolo perso, come la cultura forse qualcosa che solo i palati raffinati possono consumare e non qualcosa di essenziale PER TUTTI proprio come il pane.
Ma è più facile cavar sangue dalla solita rapa che cavar buonsenso imprenditoriale da Imma Battaglia...
Il vero grazie per questo Festival dobbiamo dirlo a Nicola Zingaretti che ci ha messo i soldi. Imma si ammanta di una volontà di cultura che altrimenti non le appartiene...

sabato 28 agosto 2010

28 giugno 2009 nasce We Have a Dream

Il 28 agosto di un anno fa, dopo le aggressioni fuori dal Gay Village, la nostra rabbia si è diffusa tramite sms, mail, facebook e ci siamo ritrovati in piazza: gay, lesbiche, transessuali ed eterosessuali, cittadine e cittadini che non volevano permettere che la violenza fermasse le proprie vite, che la violenza li spaventasse e li rendesse prigionieri della loro stessa città.

Tantissime persone con un solo grande striscione ra...inbow e con un solo grande motto : We have a dream!
WHAD è nato ed esiste come espressione di una comunità LGBTQI complessa, variegata, fatta di tante persone, ognuna con la sua storia e ognuna con la voglia di esserci!

Durante questi 12 mesi le aggressioni si sono susseguite non solo vicino ai luoghi di ritrovo, come la Gay Street di Roma, ma in tutte le vie della nostra città. Aggressioni fisiche e verbali, alle quali si sono aggiunte le aggressioni dei palazzi della politica dove, con giustificazioni razziste e omofobe, è stata
affossata la proposta di legge contro l'omofobia e la transfobia.

La nostra libertà, la nostra dignità e i nostri diritti vengono ancora strumentalizzati, derisi, ignorati.

A Roma e in tutte le città si è però risposto con il nostro sogno.

Una comunità di persone che scende in piazza, dietro delle fiaccole, al suono di fischietti, con bandiere o semplicemente con il proprio corpo, per far vedere la propria presenza, per far sentire che non siamo spaventati, per vedere e far vedere che non siamo soli.

Ora è chiaro che niente passerà più sotto silenzio. Più nessun compromesso può essere accolto perché noi, tutti insieme, scenderemo in piazza ogni volta che le discriminazioni saranno perpetrate, siano esse una violenza fisica o verbale, una discriminazione privata o politica.

E' per questo che, dopo un anno, con lo stesso spirito, la stessa voglia di esserci e ancor più voglia di sentirsi parte di una comunità che lotta per la sua esistenza e la sua libertà, il 3 settembre 2010 alle ore 21 faremo una grande fiaccolata che partirà da Via S.Giovanni in Laterano (fronte Coming out) e arriverà a Piazza di Porta Capena (fronte FAO) per rivendicare con la stessa forza dell’anno scorso, la nostra libertà, la nostra dignità e i nostri diritti.

Perché l'omofobia e la transfobia non si manifestano solamente con la violenza fisica ma ogni qualvolta qualcuno è vessato (a scuola, sul posto di lavoro, per strada, al mare) per il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere e noi vogliamo ricordarlo, sempre.

-Le regole da un anno sono sempre le stesse:
andare in piazza portando se stessi e la propria voglia di essere
liberi;

-dotarsi di fiaccole e fischietti per essere visibili, per contarci e
farci contare;

-parlare, venire fuori, convincere tutti a scendere in strada con noi
per una battaglia pacifica, decisa e condivisa!


Se Caravaggio ha il pisello di fuori... sulla mostra Caravaggio 2010 del fotografo Giuseppe zanoni

Il fotografo Giuseppe Zanoni di Porto Ercole, la città dove Caravaggio morì, ha lavorato insieme alla giornalista tedesca Annegriet Camilla Spoerndle e all’architetto Giacomo Pietrapiana, per reinterpretare in chiave fotografica Otto capolavori di Caravaggio senza intaccarne luci e composizione. Zanoni ha coinvolto nel progetto studenti, pensionati, maestre, pescatori, mamme e nonni della sua terra d’origine e ha scelto come mezzo tecnico il banco ottico a lastre, una macchina fotografica analogia, non digitale, nella quale la pellicola è costituita da una lastra di vetro preparata appositamente e nella quale la messa a fuoco è ottenuta avvicinando o allontanando la parete che contiene la lastra da impressionare e/o quella che conteine l'obbiettivo.
insomma la macchina fotografica per antonomasia, quella coi soffietti che si vede nei film d'inizio secolo...
eccone un esempio moderno


Io sono nato dove Caravaggio è morto e sono sempre stato affascinato dalla potenza fotografica dei suoi quadri, dei suoi modelli e dei giochi con le luci e le ombre – ha dichiarato Zanoni – gli studi scientifici della dottoressa Roberta Lapucci hanno poi confermato e catalizzato la mia idea sul Caravaggio fotografo. Così abbiamo cominciato a sviluppare le prime idee sulle opere.
Come Caravaggio anche noi volevamo lavorare con la gente del popolo e siamo tutti molto contenti del prodotto finale, ha aggiunto Spoerndle.
Il lavoro è stato complesso e i risultati hanno coinvolto sia lo storico dell’arte Tomaso Montanari che sponsor tecnici tra cui Fuji e Canon Italia oltre al patrocinio del Comune di Monte Argentario e della Città di Caravaggio, della Provincia di Grosseto e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. le foto sono esposte fino a domani 29 agosto a Porto ercole (Gr) nei locali dell'ex scuola elementare Lombardo radice.

Questo quello che si sa leggendo alcune recensioni su internet, oltre che sul sito  ufficiale della mostra

Ed ecco alcune delle foto che hanno rielaborato i quadri.



Apprendo di questa mostra da Gay.it che però, nel suo articolo ben si guarda dall'informarci del progetto o delle altre foto, ma presenta la foto del Cupido con questo titolo 

Scandaloso Caravaggio. Il suo Cupido indossa il preservativo
la foto censurata

e la seguente didascalia

Attenzione, l'opera originale è nella pagina successiva e continene scene di nudo. Nella mostra Caravaggio 2010, una delle tante iniziative per i 400 anni dalla nascita del Caravaggio, una delle opere più famose dell'artista è stata rivisitata in chiave moderna. Il Cupido de L'Amor vincit omnia indossa quindi un preservativo per proteggere il suo amore dopo aver scoccato i dardi infuocati di passione. L'opera è del fotografo portoercolese Giuseppe Zanoni ed è esposta a Porto Ercole, la città dove Caravaggio morì. Il Cupido è in realtà Christian, un trentenne che lavora a Cala Galera sulle barche a vela.
Lo spirito naïf da educande maliziose sorpassa di gran lunga il ridicolo dimostrando al contempo infondato il luogo comune che i gay siano sensibili all'arte. In realtà quelli di gay.it sono sensibili al membro maschile in qualunque contesto questo sia esposto, anche quello artistico...


Gender Docu Film Festival: day One and Two



Giovedì sera ha debuttato il Gender Docu Film Festival 2010, la nuova creatura di Giona A. Nazzaro, Gay Village, D gay project  e Provincia di Roma (con tanto di Zingaretti che domani stasera sarà al Village a consegnare i premi dei documentari presentati).

Le intenzioni del festival sono riportate nell'apposita sezione del sobrio sito del Festival nella quale si afferma di voler lanciare anche in Italia i gender strudies e affrontare tramite i documentari una ricerca che porti a deostruire le identità di genere  biologicamente ascritte a cliché invece storicamente determinati.

Un programma interessante, una dichiarazione encomiabile che trova nel riconoscimento della Provincia di Roma un primo riconoscimento di serietà e credibilità.
Questa prima edizione, chiamata televisivamente edizione pilota è, si dice sempre il sito, una dichiarazione di intenti.

Intanto auguriamo al festival una sede più adatta di quella del Gay Village i cui avventori, maleducati e incapaci di convivere con una rassegna che presenta strani film in lingue diverse dall'italiano (con doppi sottotitoli, italiani e inglesi idea civile per permettere ai non italian speaking people di seguire i film lo stesso) parlano e smaniano attenendo la fine del film perchè loro devono ballare e il festival si svolge in una delle piste da ballo, fregandosene di gente che è venuta lì a seguire i film di una rassegna. Un ragazzino parlava a due metri dalla sedia di una mia amica, lei gli chiede di fare silenzio, lui, trasecola, si gira verso lo schermo a quale dava le spalle, come se se ne fosse accorto in quel momento  poi guarda la mia amica e le risponde beh tanto deve leggere i sottotitoli mia deve sentire. I ragazzi del village per anticparsi il lavoro togleivano le sedie mentre Giona palrava ancora con i registi dei documentari cercando di convolgerli in un dibattito col pubblico. E durante tutte e due le proiezioni di ieri sera C8osì come le tre della sera precedente) la gente chiacchiera allegramente come fosse davanti al pc di casa propria...
Mai più al Village spero, almeno non coi soldi pubblici!

Sede cafona e rumorosa a parte i film fin qui presentati (quelli di stasera li rendiconterò domani) sono ben lontani dalle dichiarazioni di intenti del festival,
Le opere selezionate portano avanti un discorso coerente sui tratti specifici dell'identità maschile e femminile e sul corpo umano come territorio da   esplorare, da riconquistare e perfino da modificare.

sia nei contenuti che nelle forme.


L'Esprit De Madjid di Ines Johnson-Spain, (Germania 2009)

Racconta di Madjid, un ragazzo africano (non ci è dato sapere quale paese, eppure l'Africa è un continente enorme) che, a differenza di quanto riportato nelle breve note che accompagnano l'opuscolo (e che si trovano anche sul sito) non racconta della propria omosessualità, (la parola non viene nemmeno mai pronunciata nel documentario). Racconta solo della propria effeminatezza, e degli spiriti guida che secondo lui l'hanno causata, della sua attività di parrucchiere e di praticante dei riti vodoo, che pratica perchè gli effeminati come lui sono presi in giro nel paese (ma poi con altri amici ha formato un gruppo che va in giro vestito da donna col permesso del prefetto altrimenti è illegale). Nulla ci dice il documentario sul paese e le sue leggi oltre a quello che ci dice Madjid, e del quale non sappiamo nulla, né orientamento sessuale (almeno che non si dia per scontato che essendo effeminato sia gay...) né della sua vita sessual sentimentale, né di dove vive, con chi. Una intervistatrice pavida e poco presente, in una intervista lenta, piene di pause e ripetizioni che potevano benissimo essere tagliate accorciando la durata del documentario  che poteva durare 20 minuti di meno senza nulla toglierne al contenuto informativo, comunque davvero scarso. Anche la lunga sequenza sui riti voddo è data in pasto allo spettatore occidentale senza alcun aiuto per cui non sai a cosa stai assistendo e devi rifarti a quel che sai (cioè nulla) sul voddo (ammesso che quel che abbiamo visto lo fosse). Nè un documentario antropologico sul voddo né una inchiesta sull'effeminatezza nel mondo africano.

Anzi l'occhio della regista è alquanto bidimensionale e non riesce ad entrare con la videocamera  nei riti, limitandosi a ritrarne la superficie (senza nulla spiegarci di come è stata accettata dagli officianti che hanno deciso di essere ripresi da lei dunque modificando il rito stesso).
E poi cosa diavolo c'entra un ragazzo un po' checca con l'identità di genere? Non cadiamo nel classico errore di confondere orientamento sessuale con identità sessuale?
dov'è l'identità di genere? dov'è la storia? Dove l'antropologia. Antropologia cioè studiare gli altri per capire noi stessi meglio e non etnologia come dicono le note cioè studiare gli altri inq uanto diversi  ebasta.
Questo la dice lunga sullì'etnocentrismo insito prima ancora che nel docuemntario nel compliatore del festival (o, almeno, in chi ha scritto queste note).

Insomma 58 minuti per dire che le checche parrucchiere in Africa fanno il vodoo, possedute  da spiriti con tre teste (due maschili  e una femminile o viceversa) e da un altro spirito femminile e per questo lui è effeminato, ma dove non si parla né di sessualità né di affettività gay, ma solamente di effeminatezza e vodoo... pratica dove si balla seminudi, in trance e si ammazzano innocenti galline.

Insomma le brasiliane hanno in testa un cesto di frutta come Carmen Miranda...

Un po' poco, no?

hould I Really Do It di Ismail Necmi  (Turchia 2009) 90 minuti

Viene presentato come un film che racconta di Petra che dalla Germania si è trasferita a vivere a Istanbul, rovesciando lo stereotipo dell'immigrazione turca.


Ora il film, interessante, anche se eccessivamente lungo nel suo dipanarsi, usa la location di Istambul come un semplice altrove che ha poco della Turchia e potrebbe davvero essere qualunque altro posto. Il film si dipana tra una (o più?) sedute tra Petra e il suo psicoterapeuta fetish (indossa una maschera di gomma nera e una parrucca bionda...)  e la storia della donna che emerge man mano, tra la sua vita come parrucchiera e artista affermata (a Istambul) e la morte per cancro della sua sorella gemella per la quale torna a Berlino pur non volendoci stare. Tutto raccontato con colpi di scenaad effetto epiù da fiction che da documentario che, visto che racconta fatti veri(?) svilisce un po' la mrote della sorella, spettacolarizzata. Un film interessante (che poteva durare tranquillamente meno) che parla di una donna che pur sposandosi ha scelto una vita diversa da quella delle casalinghe. Ma bisogna mostrare una consumatrice di droga, artista e parrucchiera che si sente vecchia a 38 anni per dimostrare che le donne possono liberarsi dai cliché donneschi
Un'ora  e mezzo di Petra per dirci che anche lei, coi capeli corti e sale e pepe è donna come Sharon Stone. Un'etero senza che il film affronti il cliché che vuole un certo tipo di donne cui Petra figurativamente spartineve allo stereotipo della lesbica dyke.

E, di nuovo, ci chiediamo (no, non sto usando il plurale maiestatis, ci chiediamo io Guido e Andrea che siamo andati alla prima serata insieme), dov'è il coté dei gender studies? Qual è il rapporto tra la vita vera di Petra e la messa in scena di questo psicoterapeuta fetish? Al di là di una certa ricercatezza nelle immagini, nella fotografia, un film che lascia perplessi perchè vale come film a sé ma collocato all'interno di un Gender docu festival risulta eccentrico (nel significato letterale del termine).
Sfiancati da una kermesse (due ore e messo di visione so far) che costringe Giona a introdurre i film senza presentarci gli autori (che però sono venuti a Roma a spese nostre cioè della Provincia di Roma) arriviamo al terzo documentario.



Ella Es El Matador di Gemma Cubero del Barrio e Celeste Carrasco (Spagna 2009)
62 minuti


Il più interessante dei tre, quello anche più centrato con la mission (o il trend?) del festival e anche quello con la più sincere avocazione documentaristica. Ci parla di una giovane ragazza di origini italiane che va a vivere in Spagna per divettare una matador (torero è termine italiano che sottolinea il fatto che il matador ha a che fare con  l'animale, il termine spagnolo il fatto che il Torero mata el toro)  ma deve fare almeno 20 corride prima di diventare una professionista ma il mercato delle corride è un posto maschilista e la nostra giovane matadora non riesce a coronare il suo sogno. Le sue vicissitudini sono contrapposte (narrativamente) a quelle di Maria Paz Vega l'unica matadora in carica in questo momento in Spagna. Nonostante non si dilunghi sulle tecniche questo documentario riesce a far capire e apprezzare l'attitudine del matador, su come rischia la vita di fonte al toro (Maria Paz ha pezzi di metallo dentro un femore...) di come dimostra il coraggio inginocchiandosi davanti al toro (che potrebbe incornarla) prima di sferrare il colpo di spada che lo finisce. Una cruenza contro il toro ingiustificata e che non mi fa cambiare giudizio sulla corrida ma per la prima volta ho capito il punto di vista di chi va a vederla. Non va a vedere l'assassinio di un animale va a vedere l'arte del matador.  E, intanto, intervistando esperti storici il documentario ci racconta di come già nel XIII sec in Spagna c'erano matador donna e di come ci sinao smepre state fin quando la dittatura di Franco le vietò negli anni 50 (riammesse nei primi anni settanta grazie a una matador donna molto coraggiosa) mentre in Messico per esempio non è mai stato vietato alle donne (comprese delle spassosissime suore matadore!!!).
Un documentario bellissimo che mi ha davvero insegnato molto,  che però ha poco a che fare con l'identità di genere (nessuna matadora è considerata meno femminile per il lavoro che fa) ma più col maschilismo dell'ambiente delle corride.


E avendo fatto le 24 e 30, stanchi ed estenuati da 3 ore e mezzo di film, Io, Andrea e Guido ce ne andiamo chiedendoci che cosa c'azzeccassero questi tre documentari coi gender studies  (un approccio multidisciplinare e interdisciplinare allo studio dei significati socio-culturali della sessualità e dell'identità di genere.) (fonte wikipedia)


E ce lo chiediamo ancora.


La giornata di ieri ha visto solamente due film (ma abbiamo sforato le 24 lo stesso e per fortuna che ho incontrato Mariù e Francesca che mi hanno riaccompagnato a casa...).

Il primo Stretch Marks (smagliature) di Zohar Wagner, Israele 2009  67 minuti
racconta di una rockstar (?!) israeliana incita che coraggiosamente, introduce Giona, mostra il suo corpo col pancione, che vorrebbe fosse ancora oggetto d desiderio sessuale. Il documentario ci racconta dei suoi rapporti col padre della bambina che sta per avere, col compagno attuale (che non vuole entrare in sala parto perchè non è una cosa da maschio) che si offende se il suo compagno non la trova desiderabile, se la trova culona e il cui pancione non gli fa sesso al quale però si pone non come soggetto femminile, donna auto emancipata, ma come oggetto sessuale, non ti piacciono le mie tette gli chiede (che in israeliano si dice, scrivo la pronuncia, zizzi), confessando a un'amica di averlo conquistato proprio con le tette che sono più grosse del normale proprio perché incinta...
Insomma paranoie di una donna molto comuni che ci fa vedere molto senza farci vedere nulla come millanta la scheda del film un film pieno di pruderie sulle funzioni organiche (pipì, cacca, sangue) tagliando via ogni momento del parto che mostri liquidi organici e sangue ma mostrando un quarto d'ora di travaglio durante il quale le vene massaggiato il sedere da una donna anziana (la madre?) proponendo un'estetizzazione della donna incita già sfruttata da Altman in pret-à-porter... 
Una storia antifemminista par excellence lo conferma la mail spedita a Giona (la regista-autrice non è potuta venire a Roma) che ci spiega come a tre anni dal parto ancora non sappia dedicarsi al suo uomo o a sua figlia e che deve imparare a gestirsi nel ruolo di donna e di mamma in termini che qualunque femminista si arrabbierebbe a morte sentire e a ragione. Lo conferma anche la presentazione sul sito del D Gay project nella quale si dice che la donna è combattuta tra i desideri sessuali e il ruolo di madre come se i due ruoli fossero davvero antitetici e non siano visti così solamente dalla società patriarcale...
Un film tradizionalista dunque che poco fa figurare i gender studies che dovrebbe incarnare...


Too Much Pussy  di Émilie Jouvet, (Germania 2010)  80 minuti
E' il film finora più interessante. racconta di alcune attrici performer che lavorano sulla sessualità femminile vista in chiave lesbo (prodotto da una casa tedesca specializzata in porno gay...).
Il film, estenuantemente lungo oltre ogni misura, alterna brani delle performance (con rirpese poco più che amatoriali però) ai discorsi delle ragazze che si conoscono man mano che fano la tourneé.
Quel che il film non spiega (lo farà la regista, intervenuta dopo l avisione) è che le attrici non si consocevano prima e sono state unite per fare questo film le cui perfromance dunque non sono il frutto di un lavoro colettivo ma della volontà della regista. Questo però il film non lo dice facendo credere che le attrici lavorino insieme normalmente...
Questo, oltre al fatto che non si capsice (perchè il film non lo spiega) a quale pubblico si rivolgono queste perfromance (a un pubblico teatrale? O dei locali? e di che tipo di lcoali? femminoi? femministi? lesbici misti? porno? etero? gay? Il film non lo dice) inficia l'aspetto documentale del film che ritrae delle performance che non sarebbero esistite se non ci fosse astato il filma  riprenderle (anche se sono davvero state fatte nei posti ripresi, ma per commissione del film) mentre valore documentale hanno i momenti di vita insieme, di confronto-racconto delle varie performer. Lo stile, ridondante e ripetitivo, estenua lo spettatore che alla fine soccombe a un racconto magmatico che poteva essere fatto più organicamente e ridurre la durata da 80 a 40 minuti senza fare troppi danni.

L'unico film davvero dentro la questione gender anche se dal punto di vista lesbico (come fosse il punto di vista precipuo del femminile, del femminismo o dell'essere donna) e dove la mancanza totale della parte maschile non permette di affrontare e criticare il maschilismo contraltare di tante distorsioni dell'autopercezione di genere (o de-genere).

Sfiancate dai coatti cafoni che ci parlano sopra (i film) perché non vedono l'ora che schiodiamo per sculettare con le amiche, io Marilù e Francesca ce ne andiamo desolate e stanche, un po' deluse e assonnate.

E un secondo giorno di festival si conclude con scarso entusiasmo.

Ultimo appunto: la conduzione di Giona, incapace di interagire tra pubblico e ospiti (quando qualcuno del pubblico, nelle prime file, dunque vicino a loro, fa una domanda, la traduce alla regista (nonostante ci sia un traduttore ufficiale) ma non la ripete al microfono per gli spettatori, un po' per timidezza un po' per mancanza di savoir faire anche se è difficile fare gli onori di casa...