martedì 30 agosto 2011

Nasce il portale di notize gay queer24.it: nulla di nuovo sul fronte occidentale

E' online un nuovo portale glbt si chiama queer24.it e ha ricevuto l'accoglienza positiva dal presidente Patanè di Arcigay Nazionale.

Sul portale si legge che
Queer24.it portale di informazione, politica e cultura queer

non è (per ora) una testata registrata, non ha scopo di lucro ed è gestito gratuitamente e senza alcuna periodicità e fa parte dell’Anello di Informazione Gay.
Nel comunicato firmato da Patanè catalogato nella sezione opinioni ma presentato in homepage come editoriale
si legge:
L’obiettivo è quello di liberare il profondo senso di bellezza di parole come omosessuale, lesbica, bisessuale e transessuale. E’ per questo che Arcigay guarda alla nascita del nuovo portale lgbt nazionale con estremo piacere. Non sono e non saranno mai abbastanza infatti, i nostri spazi di dibattito, analisi, incontro e discussione in un momento di forte arretramento per il Paese, e di recrudescenza di omofobia e discriminazione.
Ma i segnali che riceviamo non sono fortunatamente solo negativi. Proviamo ad accostare due eventi che hanno riguardato le nostre vite e che hanno prodotto emozioni contrapposte: l’Europride di Roma e il naufragio della Legge contro l’omofobia del luglio scorso. La loro vicinanza cronologica e la prima apparenza porterebbero a concludere che l’uno ha smentito l’altro, e che l’entusiasmo di un grandioso Europride sia stato bruciato dal cinismo di quel voto parlamentare.
Europride ha ricostituito l’orizzonte emotivo che solo i grandi eventi di massa riescono a cementare; ha mostrato nuove capacità del Movimento di consegnarsi una profonda emozione anche coinvolgendo attori inediti ad un livello mai prima raggiunto (ambasciate, aziende internazionali, la stessa città di Roma con un Europark nel cuore della Capitale) e di porsi in relazione ad una serie di grandi “scossoni” che il Paese ha vissuto (movimento degli studenti, amministrative e referendum). Da questo punto di vista è stato e resta un clamoroso successo.
La mia speranza è che questa nuova iniziativa editoriale, nata esattamente a ridosso di questi due eventi, parta dall’emozione del successo di Europride per emozionarci ancora. A Queer24.it il nostro più sentito augurio di buon lavoro e, perché no, di migliaia e migliaia di lettori!
Insomma un augurio che è un pretesto nemmeno tanto celato per autoincesarsi su un europride mai così spostato sul lato commerciale e nazional-popolare e uno spaventoso vuoto di contenuti politici, basta leggere il documento politico pubblicato tardivamente sul sito dell'Europride o pensare che la rappresentatività politica dell'intero pride è stata affidata  a una cantante pop.

D'altronde che lo scopo del portale debba essere per Patanè quello di liberare il profondo senso di bellezza di parole come omosessuale, lesbica, bisessuale e transessuale la dice lunga sulla mission politica del portale o di Patanè..Le parole sono belle o brutte a seconda dell'uso che se ne fa e purtroppo queer24 persiste sulla stessa linea d'onda di altri portali  coi quali è legata anche dall'annoverarsi nella stesso Anello di informazione: gay.it QueerWave, Gay.tv, solo per citarne alcuni,  come dire la créme dei portali che presentano il mondo gllbt tramite la lente deformante del gossip e del consumismo.

Per fare una verifica agevole navighiamo nella home page e vediamo il titolo il tenore e la consistenza degli articoli proposti.


Si va da articoli come
Nozze gay a Bologna, il Comune non le convalida, La Torre (Sel): “Manca una legge”
- ma va? Dovevamo spettare Queer24.it per saperlo... -
a Invita a cena un uomo gay e lo mangia: cannibalismo o omofobia?

Come dire quesiti fondamentali per il movimento e l'informazione delle persone glbtqi.

Che gli articoli pubblicati siano inutili e oziosi non è solo una mia opinione personale ma un dato di fatto, basta leggerne uno a caso per far capire il livello, la qualità, la vitalità delle cellule grigie di chi scrive questi orrori e, presumono gli autori del portale, quelle di chi deve leggere certa spazzatura.
Così nella notizia del ragazzo gay ucciso per cannibalismo si può leggere:
Cannibalismo o omofobia? Il movente è ancora da chiarire. Quel che è certo è che un giovane russo è stato arrestato dalla polizia di Murmansk (nord-ovest russo) con l’accusa di aver ucciso e mangiato un uomo conosciuto attraverso un sito internet per omosessuali.
La notizia proviene dall’agenzia Ria Novosti citando il comitato d’inchiesta regionale. Unico movente, il desiderio di assaggiare carne umana.
I neretti sono miei. Il movente misterioso a inizio articolo diventa nel paragrafo successivo  chiaro e inequivocabile, ma vuoi mettere la moda dell'omofobia?
D'altronde quante zanzare omofobe ci hanno punzecchiato a noi gay questa estate, quanti raggi di sole omofobici ci hanno scottato?
Il sospettato, che ha 21 anni, ha invitato a casa sua il 19 agosto scorso un 32enne di cui aveva fatto conoscenza in rete, attraendolo con il pretesto sessuale. Dopo averlo pugnalato, lo ha tagliato in pezzi e in una settimana ha cucinato i resti facendo bistecche, croquette e salsicce.
Il cannibale, secondo gli investigatori, avrebbe voluto provare a mangiare altre dieci persone.
Tutto qua? Nessuna domanda sull'attendibilità della notizia, su altri casi simili? Sulle motivazioni del cannibale? Non si esorta nemmeno a fare attenzione quando si va in casa di sconosciuti (immaginate la gioia dei cannibali col mio corpicione ciucciuto...).
Ma, a proposito, esistono i cannibali? O quello dell'assassino, se comprovato, è un caso da ospedale psichiatrico?
 Chi lo sa? Non certo chi ha scritto l'articolo (non firmato) che non sa nemmeno cosa sia il giornalismo figuriamoci il cannibalismo.
Insomma ecco un nuovo portale del quale non si sentiva certo la mancanza.
Spero sinceramente di essere smentito nei prossimi giorni, a correggere il tiro si p sempre in tempo...

Adesso basta, sull'uso discrimatorio del maschile che la stampa fa quando si riferisce alle trans m to f

La notizia è una delle tante, pubblicata dal Messaggero e da Repubblica dietro le quali ci sono due agenzie stampa, l'Asca per Messaggero e Omniroma per Repubblica che riportano i fatti con un fare discriminatorio, rivoltante e irricevibile.

La notizia, per come la si desume dai due articoli, vede una donna trans di 32 arrestata con l'accusa di Stalking per aver perseguitato un uomo, con il quale aveva avuto una relazione cominciata quattro anni prima e conclusasi non si sa bene da quanto, e la moglie di questi.

Ecco come viene data la notizia dalle due agenzie.

Asca\Messaggero Omniroma\Repubblica

I carabinieri della stazione di Roma Fidene hanno arrestato un 32enne, transessuale,
io capisco che chi scrive vuole sottolineare il sesso di origine della transessuale, ma non si rende conto che così scrivendo  in realtà sta indicando una persona transessuale di sesso femminile che è diventata uomo. Infatti prima specifica il sesso, uomo, e poi specifica che è trans, che dunque cioè il sesso specificato non è biologico ma di approdo.

originario della provincia di Roma, per atti persecutori nei confronti di una coppia di coniugi. La vicenda e' partita 4 anni fa quando un romano di 46 anni, sposato con una donna di 37 anni, ha iniziato una relazione con il transessuale.
Di nuovo, sembra che il coniuge 47enne abia intrapreso una relazione con un uomo trans...
Dopo un certo periodo il 46enne ha deciso di porre fine alla relazione extraconiugale spiazzando il transessuale che si era particolarmente legato al 46enne. Da qui sono iniziate minacce telefoniche e altri atti persecutori, nei confronti dei due coniugi a cui il transessuale ha reso la vita quotidiana insopportabile. Per tale motivo la coppia aveva presentato svariate denunce nei confronti del loro persecutore che in un caso aveva anche tentato di investirli con l'auto.
Quindi più che di stalking si parla di tentato omicidio...
L'ultimo episodio risale a ieri pomeriggio quando la coppia, dopo aver notato lo stalker fermo davanti alla loro abitazione, nel quartiere Fidene, ha chiesto l'intervento dei carabinieri. Giunti immediatamente sul posto, i militari hanno identificato il transessuale e lo hanno arrestato e portato in caserma. A fronte dei precedenti episodi denunciati dalle vittime, l'Autorita' giudiziaria ha deciso di trasferirlo nel carcere di Regina Coeli, in attesa del processo.
com-res/rus/bra

STALKING, LASCIATA DA AMANTE PERSEGUITAVA LUI E LA MOGLIE: ARRESTATA TRANS
Qui il titolo fa capire che la persona transessuale sia una donna, ma poi, nell'articolo, cade nello stesso errore
I Carabinieri della Stazione Fidene hanno arrestato un 32enne, transessuale, originario della provincia di Roma, per atti persecutori nei confronti di una coppia di coniugi. Tutto è iniziato circa quattro anni fa quando il 32enne ha cominciato una relazione con un 46enne romano, sposato con una donna di 37 anni. All’inizio il rapporto extra-coniugale andava bene a entrambi. Dopo un po' di tempo l’uomo sposato ha però deciso di interrompere. Questa presa di posizione ha spiazzato la trans innamorata del suo amico sposato.
Qui si ribadisce che il sesso della trans sia femminile
Da qui sono iniziate le minacce telefoniche, sms minatori ed altri atti persecutori, nei confronti dei due coniugi a cui il transessuale
e ora torna ad essere maschile
ha reso la vita quotidiana insopportabile.
Bisogna fare dei corsi ai giornalisti che hanno e fanno molta confusione, confondendo sesso biologico con quello di approdo.
Una confusione in malafede perchè una persona trans - qualunque sia il percorso di transizione - non può essere contemporaneamente uomo E donna per cui chi usa alternativamente il maschile e il femminile (come Omniroma) tradisce il giudizio implicito con cui vede le persone trans né uomini né donne ma un po' tutt'e due le cose, stravolgendo la realtà dei fatti perchè le persone trans sono degli esseri umani con un sesso certo e determinato come tutti quanti.
Non che chi parlando di persone trans e ribadendo il sesso di partenza e non quello di approdo sia meno esecrabile, anzi.
Ma al di là di tutto quel che manca in questi articoli è lo scopo principale, quello di informare mentre questi articoli disinformano, diffondono pregiudizi e fanno delle persone altro da quel che sono, la donna trans un uomo e il marito stalkizzato un gay che va nella migliore delle ipotesi con un uomo travestito.

E' giunta l'ora di dire basta a questo uso proditorio della lingua italiana, a questa disinformazione fatta scientemente, a questa diffusione di pregiudizi e discriminazione.
Scriviamo ai direttori dei giornali e delle agenzie stampa, facciamoci sentire!

lunedì 29 agosto 2011

Seconda edizione del Gender Docufilm Fest serata finale: gli ultimi film in concorso e i vincitori.

Sorprendentemente, come per la passata prima edizione, i film migliori del Gender docufilm Fest si sono visti nella terza serata che ha proposto I Shot My Love (Israele, Germania, 2010) di Tomer Heymann e lo splendido Regretters (Svezia, 2010) di Marcus Lindeen.


I Shot My Love (Israele, Germania, 2010) di Tomer Heymann gioca nel titolo con il doppio significato del verbo To Shoot che significa sia "sparare" che riprendere (con la pellicola), cioè girare mentre la traduzione italiana, anche nei sottotitoli, non tiene conto di questa polisemia del titolo e lo banalizza in un mero e troppo interpretante "Ho ucciso il mio amore".
Il documentario, il primo "vero" documentario di questa seconda edizione del festival,  vede dipanarsi alcune vicissitudini della vita personale di Tomer Heymann, che stavolta ha fatto oggetto del suo documentario le riprese della propria vita privata: l'operazione all'anca della madre madre, le vicissitudini della donna, dalla separazione col marito ai figli che si sono trasferiti negli Stati Uniti,  il rapporto col suo nuovo fidanzato Andreas, e il rapporto di questi con la madre ti Tomer.  La Storia che incombe nelle rispettive famiglie (la madre di Tomer è scappata dalla Germania nel 32) la cultura cattolico tedesca e quella ebraico israeliana che si confrontano anche nelle feste religione, mentre il documentario registra, illustra, lasciando allo spettatore di trarre conclusioni, giudizi, conseguenze. Una documento di straordinario interesse nel quale senza proclami e senza rivendicazioni l'amore dell'israeliano Tomer per  il tedesco Andreas è colto nelle dinamiche familiari del quotidiano, l'amore, la cura (Andreas al capezzale della suocera) il rispetto, la storia familiare, in una parola la vita



Regretters (Svezia, 2010) di Marcus Lindeen la cui traduzione letterale è i rimpiangitori cioè coloro che rimpiangono e non rimpianti come suggerito nella brochure, è una doppia intervista, ovvero l'incontro-scontro tra Orlando e Mikael due uomini che hanno entrambi scelto la riassegnazione di genere divenendo entrambi donna, scoprendo, in seguito all'operazione, di aver commesso un errore. Due storie diverse due casi particolari di transgenderismo. Nessuno dei due si è mai sentito donna: Orlando ha scelto la riassegnazione come unica possibilità, negli anni 60, di vivere la propria omosessualità (che fino ad allora trovava modo di essere solo nei rapporti mercenari con uomini anziani) mentre Mikael da sempre eterosessuale convinto e amante del travestitismo non riuscendo a costruire rapporto alcuno con le donne per poterne avere una è dovuto diventarlo egli stesso. Orlando si è operato negli anni 60, da giovane, è stato sposato 11 anni e solo dopo il divorzio ha deciso di tornare indietro, sottoponendosi a una seconda riassegnazione di genere anche se, come rimarca Mikael, il suo aspetto esteriore non è quello classico di un uomo ma tiene in qualche modo conto della sua passata storia da donna. Mikael invece che ancora non si è sottoposto alla seconda  riassegnazione di sesso e nasconde i seni sotto una camicia larga, veste già da uomo e sogna di tornare a essere uomo anche chirurgicamente. 
Dai racconti di entrambi, dai loro commenti, dalle reciproche domande e constatazioni il documentario affronta senza pregiudizi senza curiosità voyeuristiche con humour ma anche con una profondo dolore la storia di due individui unici.
Un documentario indimenticabile che dovrebbe essere proiettato nelle scuole e nelle università perchè mostra come al di là delle tante sterili teorizzazioni le persone sanno davvero trovare cammini unici e straordinari, non senza sbagliare,  per provare a esprimere se stessi ed essere felici.


Le premiazioni
Il premio del pubblico (che poteva esprimere un secco voto positivo o negativo dopo la visione di ogni film) ha premiato Regretters, mentre la giuria  internazionale,presieduta dal regista italiano Luca Guadagnino e composta da Sonja Henrici (Scottish Documentary Institute di Edinburgo), Robert Greene (uno dei registi più innovativi del nuovo documentario statunitense) e Alberto Lastrucci (co-direttore del Festival dei Popoli di Firenze)  pur dando a Regretters una menzione speciale ha premiato Kathakali, di Julien Touati e Cedric Martinelli. il documentario meno gender oriented della rassegna con un fare miope e ingenuo.
Nella motivazione si legge:
“Il film vincitore  trasporta il concetto di gender in un nuovo territorio. E’ un film di corpi sul portare se stessi al limite della propria esperienza. E’ un film sulla perseveranza e sulla forza fisica ed è infine un film che contribuisce a formulare una metafora completamente nuova che illumina il genere come entità a sé stante. La ricerca del sé in questo film viene attuata contro e nonostante le differenze culturali e le limitazioni fisiche. La giuria sente che questa opera è la più audace nella visione di cosa l’identità significa per l’individuo”.
Una motivazione tanto generica da aver indotto molti, compreso il sottoscritto, a pensare che il film premiato fosse Pyuupiro 2001-2008 sorprendendo molti invece per essersi rivelato altrimenti.
La motivazione attribuisce al documentario caratteristiche e pregi che non ha. Nel documentario si mostra un training fisico, coreutico, canoro, e non si parla affatto di identità di genere dato che non affronta né i ruoli sessuali, né gli stereotipi di genere, né l'omosessualità, ma si limita a presentare degli uomini che vengono e ducati a recitare a teatro vari personaggi (divinità) alcune delle quali femminili (proprio come nel teatro elisabettiano). Basta questo per farne
un'opera completamente nuova che illumina il genere come entità a sé stante? Per i giurati evidentemente sì ben diversamente dal pubblico che ha saputo scegliere altrimenti e dimostrando come le giurie dei festival, anche se questo che poi si chiama fest, sono distanti dal pubblico da come questo guarda ai film e da come i film si inseriscono nel mondo del racconto per immagini.

Niente Zingaretti quest'anno, alla premiazione dei film, come è successo per la scorsa edizione ma, proprio come per lo scorso anno, non possiamo che accogliere positivamente questo piccolo (per età) fest(ival) e e aspettare con curiosità la sua prossima edizione.



POSTILLA (del 1 settembre 2011)

Noto con dispiacere ma so che si tratta sol di una coincidenza e non ti una scelta voluta che nei documentari selezionati non ce ne sono che affrontano la tematica lesbica. Speriamo che l'anno prossimo, alla III edizione, questa lacuna possa finalmente essere colmata...

domenica 28 agosto 2011

La sottile linea tra outing e pettegolezzo: quando la pruderie di scoprire l'oreintamento sessuale altrui denuncia la propria innata profonda omofobia.

Già lo sapete come la penso sull'outing, necessario e legittimo quando lo si fa per smascherare paladini della normalità che spalano merda sull'omosessualità.
Diverso il caso di un pettegolezzo, anche se basato su una voce fondata  come nel caso di Tremonti (ammesso e non concesso) di cui recentemente vi ho parlato.
L'outing non è un pettegolezzo serve solo a smascherare l'ipocrisia degli omofobi protettori della normalità.
Anche Gay.it ha di recente pubblicato un articolo dal titolo Gli scoop degli outing, tra privacy e omofobia sorprendentemente equilibrato nella sua prima parte (ma non nella seconda) che si riferisce a un recente episodio di outing americano chiedendosi (con acume) se la stessa cosa sarebbe potuta avvenire anche in Italia.
Tralasciamo i toni e gli aggettivi dell'articolo (siamo smepre su un sito alla ricerca del gossip) che fa un uso surrettizio delle parole, basta pensare al catenaccio dell'articolo che recita:

Politici omofobi ricattati da marchette gay sarebbe una notizia bomba.
dove in realtà la marchetta in questione non ha ricattato il politico Phillip D. Hinkle (altrimenti avrebbe intascato i 10 mila euro propostigli dalla moglie) ma lo ha pubblicamente sputtanato facendogli outing perchè il deputato dello stato dell'Iowa è fra i promotori di una campagna per la modifica della Costituzione dello Stato, finalizzata alla proibizione delle unioni gay. Quel che, in soldoni, dice l'articolo è che mentre in America gli escort (o marchette) non hanno problemi ad apparire come tali e a denunciare loro eventuali clienti famosi notoriamente omofobi, sostenuti nella denuncia dai media, gli eventuali escort italiani non potrebbero denunciare politici o uomini famosi analogamente omofobi sia per problemi di visibilità rispetto il loro essere delle marchette sia perchè la stampa italiana non li sosterrebbe affatto ma insabbierebbe il caso..
Cosa verissima in entrambi i casi.
L'articolo si riferisce ai casi di Phillip D. Hinkle e di George Alan Rekers, uno psicologo di quelli che pretende di poter guarire dall'omosessualità i cui partner occasionali (gli unici che i due possono concedersi) hanno fatto loro outing.

Dove però l'articolo scade è quando cerca di proporre un analogon italiano e mette in ballo la vecchia storia (di 3 anni fa) di Beppe Convertini che l'articolo presenta come
noto modello e attore - sedicente etero - spacciando per una storia di outing quella che è solamente uno dei gossip più perniciosi e omofobici.
Racconta l'articolo:
Il noto modello e attore - sedicente etero - denunciò proprio questo sito al Garante per la Privacy, poiché aveva riportato le dichiarazioni del suo ex ragazzo storico, che erano già comparse su altri siti internet. Le diffide dei suoi avvocati spinserò gli altri siti a rimuovere tutti gli articoli, ma non Gay.it, che si appellò e a cui alla fine il Garante diede ragione: Beppe Convertini non si era mai fatto problemi con il gossip etero e quindi non aveva senso che il Garante intervenisse su quello gay.
In una intervista, sempre su Gay.it, al ragazzo storico di Convertini emerge che il sedicente etero sia in realtà bisessuale. Nell'intervista infatti si legge:

Chi sapeva della vostra relazione?Tante persone, molte del mondo dello spettacolo compreso chi si occupa di gossip. Forse, però, era più conveniente pubblicare le foto di lui con le ragazze. In primis con Sara Ricci, la sua ex fidanzata.
Non si tratta di una "copertura" tant'è che l'intervistatore chiede

Stavano insieme nonostante lei sapesse?
Sì. Hanno fatto un calendario insieme e ricordo che all' epoca dissero in un'intervista: "Abbiamo fatto l'amore sotto un riflettore e abbiamo goduto molto", testuali parole.
Notare l'omofobia implicita nella domanda dell'intervistatore. La fidanzata di Convertini stava con lui nonostante sapesse. Sapesse cosa? Che va a letto ANCHE coi ragazzi? Ma la bisessualità (condizine molto più comune di quanto non si creda) viene ridotta a pura omosessualità per i soliti luoghi comuni che vogliono un ragazzo che va a letto con altri ragazzi non ama le donne.

In ogni caso questo outing è del tutto ingiustificato visto che l'unica colpadi Convertini è quella di non aver fatto coming out non certo quella di parlar male degli omosessuali, né le sue storie con le donne, sbandierate ai quattro venti, vere o presunte che siano, anche fossero solo una copertura per celare la sua omosessualità non costituiscono certo un danno diretto ed esplicito alla comunità, come capita a chi dice che l'omosessualità è una malattia o si batte per impedire il riconoscimento dei diritti civili.
Nello  specifico si tratta di problemi personali di Convertini e el suo ex che dice:
Non ho capito il bisogno di mettere in piazza la loro storia, è una scelta che non condivido. Ma alla luce di quel calendario e di quella storia resa pubblica mi chiedo: perché avremmo dovuto vergognarci della nostra storia? La nostra relazione nasceva dall'amore, che bisogno c'era di nascondersi?
Altro che outing,  puro pettegolezzo, e ogni gay ha diritto a rimanere velato a non fare coming ourt e nessuno può imporglielo.
Questo perchè a Gay.it non interessa davvero perorare la causa ma solo attirare lettori con delle storie piene di pruderie, come recita la chiusa dell'articolo che è veramente pericolosa:

Giudizio esemplare che, in teoria, avrebbe potuto portare allo smascheramento di una quantità imprecisata di finti etero che animano le riviste di gossip e i troni televisivi, ma così non è stato e la notizia è stata insabbiata. Forse varrebbe la pena di rifletterci sopra come si deve.
Finti etero... che animano ke riviste gossip e i trnoi teelvisivi..
Peccato che l'outing sia un'altra cosa!

sabato 27 agosto 2011

Gender Docufilm Fest seconda serata

Superati alcuni problemi tecnici dovuti alla non richiesta inventiva dei tenici (che hanno cambiato l'ottica del proiettore alle 20 di sera...) che hanno causato un certo ritardo (perdonato dal pubblico, tranne il solito intransigente che ha davvero calcato la mano) la seconda serata del Gender Docufilm Fest ha visto proiettati tre documentari molto diversi tra loro e poco centrati rispetto il tema del festival, l'identità di genere.



Le ciel en battaille (Francia, 2010) di Rachid B. (t.l. Il cielo in battaglia e non Battaglia nel cielo come tradotto nella brochure) è un racconto-confessione che  il protagonista fa idealmente al padre, malato terminale di cancro, partendo dalla sua recente conversione all'Islam, proseguendo col coming out che non ha mai avuto il coraggio di fare (pur essendo uomo e non ragazzo). Il racconto torna quindi alla sua infanzia spesa in Algeria prima del rimpatrio forzoso, vissuto con la classica nostalgia del pied noir, tra catechismo e fede e l'attrazione incontenibile per i ragazzi che il protagonista vive come un peccato.
Il racconto, fatto in prima persona, con la tecnica della voice over, vede l'utilizzo di fotografie e immagini d'epoca, tra quelle personali di Rachid e della sua famiglia e quelle cinetelevisive della sua infanzia, in un uso poetico del rapporto parola/immagine un po' trito a dire il vero e a tratti retorico.
Il testo infatti inanella tutti i topoi del racconto-confessione di un omosessuale d'altri tempi, dal rapporto pedofilo col prete a 12 anni (causa della rottura con la fede cristiana) all'aids che colpisce il suo primo ragazzo nel1'81 (dal quale Rachid si salva miracolosamente) a una promiscuità fatta quasi sempre di sesso rubato (fatto cioè di nascosto e tra le pieghe di una vitta ufficiale altra) con ragazzi etero o presunti tali che non vivono la propria sfera sessual-sentimentale con pienezza e coerenza nè alla luce del sole.
Così mentre il racconto di fiction (che veste i panni del documento solo per il carattere autobiografico del racconto) si avvicina alla recente conversione all'Islam Rachid declina la retorica di un immaginario omoerotico che fa più riferimento a Genet e Pasolini a Gide e Cocteau che alla contemporaneità anche letteraria e dove la promiscuità episodica sembra davvero l'unica cifra dell'affermazione di un orientamento sessuale incontenibile e dirompente fino al raggiungimento dell'odierna felicità, quella dichiarata al padre a inizio documentario, vissuta in un rapporto monogamico e fedele tra le braccia della fede islamica, con un ragazzo algerino, nonostante la religione islamica non sia certo più accogliente di quella cattolica verso le persone omosessuali.
Con tutto il rispetto dovuto a Rachid B. per la storia raccontata nel suo film, che è la sua vera storia e va ascoltata prima ancora che accettata o capita, questo documentario - al quale va riconosciuto il coraggio della propria intima confessione- spiazza per i topoi ormai codificati in un immaginario letterariamente antico che innerva in un discorso filmico altrettanto antico da risultare irritante in un festival di innovazione del concetto di gender (pur in tutte le declinazioni correlate) nella prospettiva del quale risulta conservatore e vetusto. Rachid B. ci propone un documentario che, nel mmento stesso in cui affonda nelle radici della propria storia personale, si dimostra privo di una memoria storica del cinema e, soprattutto, del movimento di liberazione omosessuale che nel documentario sono rimosse come non fossimo nel 2011 ma negli anni 70 (se non prima).
Un po' poco per farne un racconto di 45 minuti (che poteva durare benissimo la metà del tempo ma la concisione non sembra essere il dono dei documentari fin qui visti di questa seconda edizione del Gender DocuFilm Fest) che, alla fine, lascia il tempo che trova senza spiegare nemmeno in profondità le vicissitudini - per quanto intime e personali - che portano un omosessuale ad abbracciare una qualsiasi religione che nega il diritto alla sua esistenza.



Il secondo documentario Romeo & Julius (Danimarca 2010) di Sabine Hviid (un docuemntario non in prima italiana, essendo già stato presentato lo scorso anno al San Giò Verona video Festival, dove ha ricevuto il premio Logan) è un'opera curiosa e irrisolta che vorrebbe imbastire un racconto metateatrale nel quale - partendo da un allestimento di Romeo e Giulietta dove Giulietta è un uomo e si chiama Julius  (senza però spiegare davvero il perchè di questa scelta drammaturgica  se non quella di sfruttare l'orientamento sessuale dei due giovani attori, entrambi gay,  secondo una indigesta versione teatrale della vulgata neorealista che vuole gli attori vicini ai personaggi che devono interpretare...) - si approda alla vita reale dei due attori i cui ruoli dovrebbero mettere in discussione il loro privato.
Sorprendentemente e nonostante la scansione del documentario in atti (tre, contro i cinque dell'opera shakespeariana...) dell'allestimento teatrale ci è dato da vedere poco e niente. Anche delle prove - che dovrebbero costituire il momento centrale del documentario - ci è mostrato molto poco indugiando in alcuni momenti di prove all'aperto o nelle case private della regista e dei due ragazzi, per cui a ben vedere lo spettacolo e le prove sono solo un pretesto per parlare d'altro. Anche l'impatto emotivo che, nelle intenzioni della regista, dovrebbe costituire il cuore del documentario, registrando durante lo svolgimento delle prove come l'amore impossibile della storia raccontata da Shakespeare vada a influenzare direttamente la vita dei due giovani si riduce al classici problemi di accettazione di uno dei due ragazzi che si preoccupa che i genitori vedano il suo bacio omoerotico sulla scena, (lui che non ha mai portato i suoi ragazzi a casa e che, comunque, non si è mai davvero innamorato) mentre l'altro ragazzo, che vive già una storia d'amore dichiarata in casa si commuove fino alle lacrime quando in scena deve baciare un altro che non è il suo fidanzato con poco rispetto per la professionalità dell'attore nella quale il personaggio da interpretare rimane ben distinto dalla sua vita privata e dove un bacio sulla scena tra due attori, nulla rivela del loro vero orientamento sessuale.
Senza nessuna distinzione stilistica tra i (rari) momenti delle prove i (rarissimi) momenti on stage e quelli più personali dei due attori ripresi anche nell'intimità delle relative case, (mentre degli altri attori dello spettacolo non ci è dato sapere nulla) Romeo & Julius  si fa vedere senza lasciare traccia nella memoria dello spettatore che si trova dinanzi a un racconto à la "Piccoli gay crescono", banalizzando in salsa adolescenziale la ricerca di una propria identità gay che spreca un poco l'assunto centrale di un festival di documentari di genere raccontando i soliti problemi di coming out senza nemmeno distinguersi per originalità o brillantezza della regia (cinematografica visto che di quella teatrale nulla ci è fatto vedere...). 



Il terzo documentario Face (Australia 2010) di Adele Wilkes  (t.l.Volto e non Volti come nella brochure) si presenta come un lavoro interessante sui video postati nel sito Beautiful Agony che ritraggono, in primo piano, uomini e donne,di ogni età e orientamento sessuale, mentre raggiungono l'orgasmo, da soli o con amici o partner.
I video sono girati dai singoli soggetti, inviati al sito che, vagliandone l'autenticità, li pubblica online. La regista che firma il documentario ha il compito, per conto del sito, di verificare i video e ha pensato di attingere a quel materiale per indagare sulla piccola morte, sul momento dell'orgasmo, quando le nostre facce sono davvero percorse da una smorfia incontrollabile e vera.
Progetto ambizioso e interessante il film si limita però ad attingere ad alcuni dei video postati sul sito (che hanno superato attualmente le ventimila unità) alternati a qualche intervista ad alcuni collaboratori del sito (compreso un docente universitario) e alle interviste fatte a chi ha postato i video, a chi, cioè, si è autoripreso durante l'orgamso.
Dichiarazioni personalissime che passano per le fantasie erotiche più singolari eppure così comuni come il ragazzo che associa il sesso al proibito e pensa bene di vestirsi con abiti femminili, o la ragazza che incensa la pornografia come unica forma di performance dove non si può fingere. Commenti ingenui (perchè anche il porno simula e ha una sua retrica di verosimiglianza) ma che - almeno - hanno la caratura del documento perché ritraggono davvero quel che pensano (e dicono) i partecipanti al sito anche se è un parlare filtrato attarverso un meccanismo così particolare come quello del sito.
Alla fine della visone si ha un po' l'impressione che il documentario più di essere una ricerca esterna e autonoma agli interessi del sito sia una sorta di enorme spot del sito stesso. Impressione che viene confermata quando - navigando sulla rete - si scopre che per accedere ai video del sito bisogna iscriversi pagando un fee di 14 dollari al mese (automaticamente rinnovabile) mentre se il sito accetta il video che chiunque può proporgli paga all'autore ...dell'orgasmo 200 dollari.
Una piccola impresa commerciale dunque che modifica la percezione e il senso di tutta l'operazione (la motivazione per cui metto il mio orgasmo in rete è guidata anche dall'incentivo economico e rassicurata dal fatto che i video non sono accessibili a tutto l'universo mondo ma solo a chi si abbona) senza che tutto questo venga minimamente menzionato nel documentario.
Un documentario non scende mai davvero in profondità né sull'orgasmo e la sua percezione sociale (visto che è messo in rete a disposizione della comunità, anche se  pagamento) limitandosi a citare la metafora abusata dell'orgasmo come piccola morte né sui nuovi mezzi di aggregazione sociale che la rete ha contribuito a creare. 
Nel suo fare il documentario la regista si è fatta lo scrupolo di coinvolgere se stessa nell'esperimento dei video ...orgasmatici e il documentario si conclude con il suo personale filmato orgasmico l'unico che ci è dato vedere nella sua interezza (almeno dal climax in poi) con tanto di sguardo bilaterale imbarazzato dopo, che rappresentano alcuni secondi di pura totale e incommensurabile verità. Non sappiamo qui dove sia la ricerca sull'identità di genere, certo se la strada indicata è quella ritratta dalle interviste agli autori dei video postati la scia molto a desiderare...

L'impressione generale che si ha di questi documentari è la superficialità con cui oggi ci si approccia al linguaggio audiovisivo (data anche la facilità d'accesso ai mezzi produttivi grazie alla digitalizzazione ) - anche se Romeo e Julius è girato in 35 mm (avendo un contributo statale) - come se l'occasione di parlare non nasca più da un'urgenza di comunicare ma semplicemente dalla fatto che c'è la possibilità tecnico-economica di farlo.
La responsabilità di ciò non sta naturalmente nei festival che, anzi, registra la tendenza, ma nei film stessi e nella generazione di cineasti che ha la cultura superficiale aneddotica e approssimativa - oltre che autoreferenziale - dei navigatori di internet che credono che nella rete si trovi tutto quel che serve mentre la Storia - ogni Storia - la si scopre ancora sul campo oltre che in sala, a teatro e in biblioteca.

Gender Docufilm Fest prima serata


L'impressione è la stessa degli altri anni eppure, non me ne voglia Imma, questa decima edizione del Gay Village mi sembra la più simile al resto delle manifestazioni dell'estate romana: chioschi per bere, per mangiare e per fumare, senza uno specifico gay che non sia quello della musica o dell'alta concentrazione di ragazzini e ragazzine gay e lesbiche che qui possono essere se stess* in maniera più garantita.
Non mi si fraintenda, non ho nulla da criticare al gay village se non constatarne la stessa intima vocazione commerciale di ogni altra manifestazione estiva. E, per certi versi, anche questa omologazione è una conquista nella misura in cui anche le istanze omosessuali entrano nel mercato e diventano impresa.
D'altronde se dieci anni il Gay Village costitutiva un luogo di rottura e non di omologazione, un laboratorio di aggregazione sociale e non di ratificazione di un consumismo standard (neo)conformista la colpa non è del Village né di chi il Village lo fa, ma dei tempi e della società tutta (nella quale, certamente, il Village e chi lo fa vivono ed esistono) una società dallo sfondo della quale il Village si staglia con le peculiarità che sono di quella e non sue.
Il consumismo autocelebrativo, lo stordimento dei sensi - senza mettere in mezzo alcool sigarette o altre droghe - come affermazione di sé, come unica cifra spendibile del proprio essere-nel-mondo-in-mezzo-agli-altri, diversamente sessualmente orientati ma egualmente e mediamente cafoni, coatti, bulli (e, beninteso, coatte e bulle), dove si parla nonostante ci sia la proiezione di un film, dove si risponde al cellulare (poco importa se ci si alza dal posto per parlare), dove si fuma in continuazione senza pensare che imponi il tuo fumo anche agli altri [ma iersera il ragazzo di una mia amica per fumarsi la sigaretta si è alzato dal posto nonostante ci fossero ancora pochi spettatori... come dire che un altro comportamento non solo è possibile ma c'è chi lo fa], dove ti getti sulla pista quando i lavatori del village stanno ancora smantellando le sedie, dove quasi nessun* oltre al sottoscritto e una donna francese approfitta della presenza del regista di uno dei film appena visti per fargli delle domande (foss'anche cosa fai stasera? data la sua avvenenza).
E se in passato ho criticato l'assenza di una vocazione educativa del Village devo ammettere che questa constatazione - per quanto giusta in linea di principio - malceli una certa dose di paternalismo, di chi crede che la gente vada educata sempre e comunque come se la proposta di alcuni documentari nell'ambito di un festival di documentari di genere (ho adorato che Imma abbia usato l'espressione italiana nonostante il nome del festival sia l'inglesissimo Gender DocuFilm fest) in quanto occasione di confronto e stimolo culturale - per giunta senza alcun compromesso con l'aspetto commerciale (fruibilità, vendibilità) dei documentari proposti -, non sia già di per sé una occasione di formazione. Il traino di un luogo frequentato come il Village dà al festival la giusta spinta a essere più di quanto il festival non dia al Village una parvenza di luogo in cui si fa cultura, un festival sostenuto anche coi soldi pubblici della provincia di Roma (che durante le presentazioni non ha ricevuto praticamente applauso alcuno dagli astanti) e che, se pure è una goccia nell'oceano le gocce lasciano un segno.
Nonostante una certa timidezza impedisca a Giona di essere un padrone di casa vero e proprio la sua disinvoltura nelle lingue (Francese e Inglese) gli ha permesso di interagire con gli ospiti della serata senza le lungaggini di un'interprete.
La macchina organizzativa ha tenuto sino alla fine quando un po' di folla rumoreggiava intorno alla platea (allestita sopra la pista da ballo) aspettando più o meno pazientemente che sgombrassimo per iniziare a ballare (visto che, tra il ritardo accumulato e le domande alla fine del secondo documentario avevamo superato la mezzanotte) mentre il piatto forte, naturalmente, sono stati i documentari presentati.


L'apertura di questa seconda edizione del Gender Docufilm Fest è stata affidata a due documentari impegnativi e stimolanti.

PYUUPIRU 2001-2008 (Giappone, 2010) di Daishi Matsunaga

La cosa più sorprendente di Pyuupiru il protagonista dell'omonimo documentario a lui dedicato è il percorso artistico ed umano dell'uomo,  indissolubilmente legati. Non stiamo parlando della vita che influenzale l'arte ma del continuo interscambio tra le due che costituisce la cifra più intima dell'artista. Daishi Matsunaga, amico d'infanzia di Pyuupiru, lo ha seguito da vicino per sette anni ritraendone vicissitudini artistiche  e personali purtroppo in maniera del tutto inadeguata. Incapace di governare la sua materia documentale, cioè la vita e la dimensione artistica di Pyuupiru, Daishi Matsunaga si limita a riprenderne l'esteriorità sia quella fatta di momenti pubblici come quando Pyuupiru, nel 2005, ormai artista emergente, si esibisce presso la triennale di Yokohama, sia di momenti privati, quando Pyuupiru si innamora di un ragazzo etero che chiama Papi (Papa in inglese come nella canzone Papa Don't Preach di Madonna) sia i percorsi dell'artista, l'invenzione dei suoi costumi fatti a maglia, del trucco che adotta per i suoi personaggi (characters) così come si fa fotografare all'inizio della sua carriera quando ancora non era chiara la sua cifra di artista e veniva presentato dalla casa editrice che lo pubblicava come una sorta di freaks o di weirdo.


Matsunaga indugia troppo su alcuni elementi della vita di Pyuupiru (la costruzione dei 50 mila e più origami a forma di gru che gli servono per un elemento della sua istallazione alla triennale di Yokohama per la quale, dopo averne fatti più di 30 mila da solo, chiede aiuto ai suoi fan che, dettaglio che da solo, occupa circa un quarto dell'intero documentario) dimostrandosi del tutto impreparato nell'approfondire le intuizioni che Pyuupiru gli regala di tanto in tanto quando parla con lui guardando direttamente in camera.
Definito dai parenti e dagli amici gay Pyuupiro ammette di non avere mai avuto una storia stabile, confessandosi incapace di gestire una relazione con un ragazzo, anche se la desidererebbe. Incapace (non sappiamo se per ingerenze esterne dato che il documentario nulla ci dice sull'ambiente in cui Pyuupiro vive) di vivere da ragazzo al quale piacciono i ragazzi Pyuupiru si dedica alla sua arte, alla costruzione di personaggi che ne deostruiscano il ruolo di genere non alla ricerca di una terza via o, comunque, di una via alternativa al gender ma, piuttosto, di un modo per dissimulare la sua incapacità a gestire il proprio omoerotismo. Non a caso Pyuupiru si innamora di Papi, un ragazzo etero che non accetta mai nemmeno di baciarlo (e che nel documentario non vediamo mai) e per il quale Pyuupiru fantastica di possedere un corpo femminile, con grosse tette (che scommette piacerebbero tanto a Papi, come gli dice in una telefonata che vediamo filmata) e una vagina al posto del pene secondo il più doppio trito cliché maschilista che vuole 1) che un uomo che è attratto dagli uomini sia un po' femmina e 2) che il corpo femminile sia il viatico principale dell'attrazione sessuale di un maschio.
Prima ancora di essere una persona alla ricerca di una identità sessuale che lo definisca, Pyuupiru vaga negli interstizi dei cliché di genere, arrivando a castrarsi (asportazione chimica dei testicoli ma non del pene) come primo passo di avvicinamento al corpo femminile cui pensa di approdare non per cercare una consona identità di genere ma per avvicinarsi a quel corpo che Pyuupiru creda piaccia a Papi. Ovviamente Papi appena appreso dell'operazione, lo lascia.
selfportrait #15 - 'Castrated male genitals'
E - come all'inizio della sua carriera - Pyuupiru trova nell'arte la sua salvezza e fa del proprio corpo la sua opera d'arte, la creta su cui modellare una trasformazione che si faccia espressione di una trasformazione che vale di per sé e non tanto per la meta di destinazione.
Purtroppo nonostante la sua prolissità e i suoi - a tratti - lunghissimi interminabili 95 minuti il documentario ci abbandona proprio quando l'artista comincia timidamente a fare del suo corpo la sua tela, modificando le palpebre, il mento e le labbra (rendendole carnose come quelle dei neri).
selfportrait #30 - 'Female genitalia that were born'
Più affine alla ricerca di altri body artist che a quella della persona transessuale  (che, lungi dal cercare una alternativa identità di genere si limita a modificare chirurgicamente il sesso biologico rendendolo il più vicino possibile a quello cui si sente, a qualunque titolo, di volere/dovere appartenere) Pyuupiru 2001-2008 è una promessa mancata, un documentario che mostra l'enorme potenzialità del soggetto ritratto, l'artista Pyuppiru, privo però degli strumenti culturali, artistici, politici e di movimento per poter restituire anche l'ombra dello spessore di una persona unica nel suo genere che sembra aver trovato nell'arte quella capacità di essere se stesso come non è riuscito a fare nel mondo che lo circonda, più per soggettivi limiti personali - per quel poco che ci dà da sapere il documentario - che per oggettivi limiti imposti dall'esterno (a cominciare dalla famiglia che lo accetta sin da subito, non battendo ciglio sul fatto che in quanto gay Pyuupiro si vesta da donna... come dire l'omofobia è di casa ovunque).

Completamente insostenibili e provinciali i commenti europei che hanno accolto il documentario (una novità assoluta per l'Italia ma che ha già viaggiato in lungo e largo per l'Europa dal Barcelona Asian Film Festival (BAFF) del 2010 e al Festival Paris Cinéma di quest'anno) facendo di Pyuupiru altro da quello che è, un artista e non un ricercatore di sinergiche e nuove declinazioni dell'identità sessuale.


Come al solito la bellezza è nell'occhio di chi guarda. A volte anche il provincialismo.

Pyuupiru, Selfportrait #02 A 12-year-old Boy Bearing Scars, 2005-07


Un inizio preciso e pertinente per questa seconda edizione di un festival che vuole presentare dei documentari come contributo alla ricerca dello studio sui ruoli di genere, sugli stereotipi dell'identità di genere e zone liminali.

Il secondo (e ultimo) documentario della prima sera è un puro racconto per immagini senza (quasi) dialoghi, più due cartelli a inizio e a fine documentario.

The Table With The Dogs (Kathakali) (India, 2010) di Cédric Martinelli e Julien Touati

Le immagini ci catapultano subito in un ambiente estraneo all'occhio occidentale, in un posto isolato, dove un gruppo di giovani e giovanissimi indiani, tutti molto magri, dal corpo tonico, erotico, desiderabile, sono sottoposti alla una dura disciplina della danza KATHAKALI. 
Il documentario ha più la vocazione del reportage che del documento mentre ci mostra Julien Touati - uno dei due registi - seguire, come unico occidentale, un training coreutico che normalmente richiede 11 anni di dedizione (come ci spiega il cartello durante i titoli di coda, un po' troppo breve per esser letto da chi non è madrelingua...) e che raramente viene aperto agli occidentali.

L'occhio dei due registi non è però un occhio antropologico, nemmeno per quel tanto che gli è dato dallo scarto etnocentrico tra culture. La danza Kathakali è per i due registi francesi occasione di una operazione estetizzante. L'occhio col quale i due documentaristi si avvicinano a questa forma multidisciplinare d'arte (Letteratura,  Musica Pittura Arte drammatica e Danza) infatti indugia sui corpi dei danzatori, indagati, esplorati, ripresi  e mostrati nella loro purezza di corpi in movimento che si sottopongono a uno sforzo atletico-coreutico-performativo non indifferente del quale però non ci viene restituita né l'energia, né la passione, né la forza né la sacralità con cui questi uomini si preparano per uno spettacolo nel quale interpretano delle coloratissime e truccatissime divinità del Mahabharatha e dal Ramayana. Divinità maschili  e femminili che - proprio come nel teatro elisabettiano, sono interpretate elusivamente da uomini e che solo un occhio naïf può leggere in chiave omoerotica o come messa in discussione dell'identità di genere.


















Anzi a uno sguardo anche solo timidamente femminista questi uomini che interpretano anche i personaggi femminili non possono non essere visti come espressione di una cultura maschiocentrica che esclude le donne dalla rappresentanza anche del loro genere o almeno diciamo questo in mancanza di una più precisa conoscenza culturale di un fenomeno come la danza Kathakali che il documentario si guarda bene dal fornire e che, dunque, non reputa necessaria per la sua fruizione, autorizzando così letture etnocentriche occidentali di un fenomeno altro qui presentato nella sua pura datità senza contesto alcuno.
Nulla ci viene detto infatti di questi uomini che non sono persone e nemmeno personaggi ma figure senza una propria storia né personalità ripresi e mostrati secondo gli standard di un puro gusto esotico di ottocentesca fattura che rimane secondo solo all'auto-celebrazione del giovane regista che segue il corso di danza - unico occidentale a poterlo fare - che sembra davvero l'unica cifra vera del documentario che non ha nemmeno la dignità del diario non riportando alcuna sensazione osservazione o commento dello studentre-auotre-coregista.
Insomma un documentario inutile il cui unico valore è quello della ricerca  visiva alla quale si deve riconoscere una certa efficacia e un discreto fascino ma che rappresenta al contempo un'occasione mancata per documentare la cultura e la storia di una antichissima disciplina di teatro-danza in una delle sue rare occasioni in cui si mostra all'occhio occidentale che rimane in superficie senza approfondire mai nulla nemmeno il momento dello spettacolo del quale ci vengono mostrati (forse per accordi con la scuola) solo pochissimi minuti.

Provati e un po' delusi io e Guido ce ne andiamo convinti che domani sera ci rifaremo coi tre documentari in programma sulla carta più interessanti di quelli visti oggi.



giovedì 25 agosto 2011

Gender Docufilm Fest 2011: qualche riflessione preliminare

Il poster ufficiale della seconda edizione del Gender DocuFilm Fest (Logo design  Corporate & art direction di Viola Damiani  Payoff di Filippo Ulivieri Foto di Matteo Carnevali) è molto suggestivo e spiega bene l'intento, o l'idea, che muove questo festival che fin dal suo titolo ha più la vocazione di voler essere una festa. D'altronde forse il luogo (Gay Village) e il periodo (fine Agosto) suggeriscono più il disimpegno della serata festosa che quello serioso del festival paludato.

Un uomo e una donna sono posti di fianco, nudi, sdraiati, uno abbracciando il bacino dell'altra, fotografati dall'alto, su uno sfondo bianco e neutro, l'immagine tagliata di modo che si vedano i volti fino al naso escludendo capelli e occhi.
Un poster speculare che si può vedere anche ruotato di 180° con le scritte ripetute nei due versi (compresi i loghi delle associazioni e dei patrocini), suggerendo anche graficamente  l'intercambiabilità dei due sessi in cui si declina la razza umana (anche se sul sito ufficiale del festival l'immagine presentata per il download vede l'uomo sopra...)


L'idea centrale del Gender docufilm fest è proprio quella di affrontare il tema dei ruoli sessuali in chiave culturale come si legge nel comunicato stampa:
il Gender DocuFilm Fest [si propone come] contenitore d’idee e come luogo di confronto sulle prospettive e innumerevoli problematiche concernenti l’identità di genere. Il Festival offre un panorama ad ampio raggio sul genere cinematografico del documentario per una nuova prospettiva sull'identità di genere, mostrandone le diverse sfaccettature e la sua sempre rinnovata capacità di raccontare la realtà dei vari angoli del mondo, proponendo immagini di popoli e paesi, ritratti di uomini e donne lontane, storie di passioni di persone comuni.
La vera novità del festival sta dunque nell'occhio dei selezionatori che non scelgono da una categoria pre-esistente il docugender cioè un documentario sui generi sessuali (che non esiste), ma scelgono documentari provenienti dal più consono e generico alveo glbtqi e qui proposti secondo questa nuova chiave di lettura.
Questa peculiarità aveva suscitato non poche perplessità nella sua prima edizione, lo scorso anno, perchè lo scollamento tra i documentari altrimenti concepiti e l'idea selezionatrice che li accomunava era fin troppo evidente.
Eppure le intenzioni del festival sono interessantissime e ricche di spunti di riflessione. Sottolineare il carattere culturale (in senso antropologico) e sociale della costruzione dell'idea di genere maschile e femminile è in sintonia col movimento di ricerca femminista e glbt che hanno contribuito in maniera sensibile alla decostruzione de ruoli e stereotipi di genere, sui quali si costruisce l'ancora troppo diffuso sessismo della nostra società,  che ancora pretende, per esempio, gli uomini più portati alla materie sceintifiche e le donne a quelle umanistiche, distinzione senza alcun fondamento. Pregiudizi, cliché, pericolosi perché non totalmente campati in aria ma fondati su certi dati statistici collegati tra loro da un nesso di causa ed effetto sostenuto non dall'osservazione empirica ma dal cliché stesso assolutizzato così su portati universali, atemporali e indiscutibili.

Un terreno fertile soprattutto se si scelgono documentari che indagano sul confine dei ruoli di genere che possono essere ben messi in discussione quando si esagerano contraddizioni codificazioni e pregiudizi insiti in certe definizioni.

Un cammino impervio e rischioso perchè soggetto a cortocircuiti semantici, a fraintendimenti, alla ricomparsa perniciosa di cliché e stereotipi che si è creduto buttar fuori dalla porta.

Così alcune definizioni o spiegazioni fornite sul sito del festival hanno seguito una via forse troppo disinvoltamente semplificatoria lasciando adito ai più facili fraintendimenti.
Sul sito del festival si può leggere:

Il Gender DocuFilm Fest è il primo festival in Italia a raccontare le forme mutevoli dell'identità di genere. Ampliando i confini del transessualismo e dell'omosessualità, il festival vuole costruire una visione più aperta e malleabile dei nostri corpi e dei nostri ruoli sociali, mettendo in discussione la logica binaria del maschile/femminile.
Il festival presenta opere che deliberatamente sfidano il pensiero comune su alcuni temi cardine della società: l'amore, il sesso, i ruoli maschile e femminile, la pornografia, la famiglia.
Nessuna certezza resta salda dopo la visione di questi documentari. Abbattendo gli stereotipi, ogni film ridona al corpo la propria centralità politica e sensoriale.
Un proclama a metà tra lo spot auto promozionale e il manifesto politico che però andrebbe meglio contestualizzato e approfondito, perchè, anche se è chiaro l'intento alle persone di buona volontà è facilmente fraintendibile e strumentalizzabile.

Il collegamento tra identità di genere (cui appartiene il transessualismo) e l'omosessualità, che pertiene invece all'orientamento sessuale, che, insieme,  contribuiscono (non sole) alla più complessa e articolata identità sessuale andrebbe forse spiegato meglio, altrimenti, posto così rischia di unire quel che si è faticato tanto per distinguere.
Non devono disturbare tutte queste etichette né far pensare che nascano da una non mitigata pulsione classificatoria che vuole separare la ricchezza sessual sentimentale delle persone.
Queste etichette non sono normative, né prescrittive.
Non ci dicono cioè chi possiamo essere o come dobbiamo essere né tanto meno come dobbiamo comportarci una volta occupata una casella della nomenclatura.
Tutt'altro.
Queste etichette servono per distinguere cose comunemente considerate uguali. Sono utensili coi quali cerchiamo di interagire con la realtà in una maniera più precisa, senza trascinare con le parole dei pregiudizi e dei collegamenti impliciti.

Così quando distinguiamo tra identità di genere (sentirsi uomo o donna a prescindere dal sesso biologico di appartenenza) e orientamento sessuale (essere attratti sessualmente e o coinvolti sentimentalmente da persone dello stesso sesso) lo facciamo per evitare di portarci dietro certi pregiudizi che vorrebbero i generi maschile e femminile racchiusi in una tendenza innata (universalistica e transculturale) all'attrazione sessual-sentimentale per le persone dell'altro sesso e non del proprio.
Gli stessi pregiudizi che fanno vedere i gay come femmine mancate e le lesbiche come maschi mancati come se l'essere maschile significhi inderogabilmente essere attratti dal sesso femminile e viceversa.
La storia di noi gay e lesbiche, di noi uomini e donne biologici e non, dimostra invece che il nsotro sentire è sempre molto più variegato e complesso di quanto possa essere previsto da qualsiasi etichetta. Le categorie qui proposte (e che non sono certo di chi scrive ma riconosciute - più o meno-  da tutta la comunità) non servono per classificare o prescrivere ma solo per descrivere.
In questo senso è allora più comprensibile quel che è riportato sul sito dai creatori del festival:
il festival vuole costruire una visione più aperta e malleabile dei nostri corpi e dei nostri ruoli sociali, mettendo in discussione la logica binaria del maschile/femminile.
Anche questa affermazione va intesa nel suo significato più vero.
Qui non si sta proponendo l'esistenza di un terzo sesso (come, pure, certe teorie intersex e queer sembrerebbero voler fare) più semplicemente si vuole spogliare l'opposizione maschio/femmina di quelle caratteristiche che normalmente vengono accreditate (a torto) esclusivamente a uno dei due sessi e che sono causa di tanti pensieri sessisti.

Partendo dall'idea semplice quanto elegante proposta negli anni quaranta da Kinsey e cioè che:
Il mondo non è diviso in pecore e capre. Non tutte le cose sono bianche o nere. È fondamentale nella tassonomia che la natura raramente ha a che fare con categorie discrete. Soltanto la mente umana inventa categorie e cerca di forzare i fatti in gabbie distinte. Il mondo vivente è un continuum in ogni suo aspetto. Prima apprenderemo questo a proposito del comportamento sessuale umano, prima arriveremo ad una profonda comprensione delle realtà del sesso (Alfred Kinsey Il comportamento sessuale dell'uomo Bompiani, Milano 1950)
nessun essere umano si riconoscerà rigidamente in alcuna nomenclatura  ma usando certi concetti potrà distinguere aspetti diversi della propria identità sessuale normalmente regolati da leggi di declinazione assai più rigidi ed esclusivisti di quanto non accada nella realtà e in natura.
Anche certe pretese naturali della Chiesa  o di altri pensieri conservatori si basano su un concetto di natura normativo e dirimente che invece di riconoscere l'esistente lo nega in nome di un'idea stratta che si pretende naturale. Ma gay e lesbiche esistono (se io non esistessi non potreste certo leggere queste righe) e chiedono solamente il diritto all'autodeterminazione senza negare a chicchessia alcunché, a differenza dei teorizzatori dell'origine naturale che vorrebbero imporre norme e visioni del mondo confondendo le parole, cioè gli strumenti cognitivi, con la realtà, concludendo - di fronte all'evidenza empirica che contraddice le parole con le quali cercano di descrivere la realtà - che sono le persone della concreta realtà empirica ad essere sbagliate e non le parole.
Pur di non cambiare gli strumenti coi quali interagiamo tra di noi nella realtà, per difendere un principio evidentemente astorico di universalità si sacrificano l'esistenza di persone concrete, negando loro, negando a noi, la dignità  dell'esistenza con un modo di fare squisitamente affine a quello nazista.

Vedremo come i documentari proposti da questa seconda edizione costituiranno spunti di interessanti riflessioni.


Apre oggi a Roma la II edizione del Gender DocuFilm Fest

Il Gender DocuFilm Fest è una vetrina internazionale, ideata da Giona A. Nazzaro e Filippo Ulivieri, fortemente voluto da Imma Battaglia e con il patrocino della Provincia di Roma.
Quest'anno il festival propone sette documentari per ragionare sul concetto dell'identità di genere mettendo in discussione la logica binaria del maschile/femminile.

Sette documentari, proposti, in anteprima europea e italiana, provenienti da Europa, India, Giappone, Australia e Medio Oriente che indagano gli aspetti emotivi, sociali, culturali dedicati ai complessi significati della sessualità e dell'identità di genere senza piegarsi alla logica del format televisivo, raccontando tutte le sfumature con libertà di espressione.



Io ne farò un dettagliato resoconto di ogni serata.
Qui quello più personale, con considerazioni sul festival, sulla gente che lo frequenta, sull'aria che tira al Village, su Al Cinema.org invece la recensione di ogni singolo documentario presentato.






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giovedi
Pyuupiru 2001-2008
ORE 21:00 • PYUUPIRU 2001-2008
di Daishi Matsunaga
Giappone 2010
95 minuti, giapponese con sottotitoli italiani e inglesi
Pyuupiru è un ragazzo giapponese in conflitto con il proprio corpo, inadatto a rappresentare la vera identità dell'anima che contiene. Oltre la performance art e la chirurgia, inarrestabile nel suo percorso di riappropriazione dell'identità di genere, Pyuupiru inizia un viaggio ai confini tra i due sessi spinto tanto dalla ricerca del sé quanto dalla furia artistica, plasmando il proprio corpo come uno scultore con la cera.
Il documentario di Daishi Matsunaga, amico d'infanzia di Pyuupiru, intervista familiari e amici dell'artista e segue da vicino otto anni di vicissitudini corporee e mentali di un giovane in grado di tramutare i turbamenti dell'anima in arte.
Kathakali (The Table with the Dogs)
ORE 22:45 • THE TABLE WITH THE DOGS (KATHAKALI)
di Cédric Martinelli e Julien Touati
India 2010
40 minuti, senza dialoghi
Julien Touati è il primo occidentale ammesso alla scuola indiana più prestigiosa dove viene insegnata l'arte del Kathakali, il teatro-danza delle rappresentazioni popolari. Giorno dopo giorno, dall'alba a notte inoltrata, Julian si immerge completamente in un viaggio ipnotico e sensuale nel cuore delle tradizioni indiane, scoprendo un mondo dove l'ordine gerarchico è immutabile, la religione onnipresente e le donne assenti.
Il documentario è un'opportunità unica per assistere al durissimo allenamento corporeo e alla rigida educazione a cui vengono sottoposti i ragazzi chiamati a rappresentare le divinità del pantheon indù, alla scoperta di uno degli ultimi posti al mondo dove questa forma d'arte viene insegnata seguendo la tradizione più pura.
venerdi
Le Ciel en Bataille
ORE 21:00 • LE CIEL EN BATAILLE [Battaglia nel cielo]
di Rachid B.
Francia 2010
45 minuti, francese con sottotitoli in italiano
Al capezzale del padre malato di cancro, un ragazzo francese ripercorre la propria vita e si immagina di confessare finalmente la sua omosessualità e il suo percorso spirituale dal cattolicesimo all'islamismo.
La voce di Rachid, narrando la sua vita dall'infanzia in Marocco alla Parigi multiculturale d'oggi, trascina lo spettatore all'interno di un'esperienza umana complessa, in perenne lotta tra le pulsioni del corpo e la purezza dello spirito. L'omosessualità, mai negata ma inconfessabile in un contesto religioso, tenta una realizzazione terrena mentre in cielo le divinità osservano. Un documentario che con immagini oniriche e poetiche cerca di superare i confini del corpo per approdare a una dimensione spirituale che porti finalmente la pace dell'anima e dei sensi.
Romeo & Julius
ORE 22:00 • ROMEO & JULIUS
di Sabine Hviid
Danimarca 2010
25 minuti, danese con sottotitoli inglesi e italiani
Una compagnia teatrale studentesca mette in scena il Romeo e Giulietta di Shakespeare in chiave gay. L'imprevisto shakespeariano questa volta arriva quando la forza dei sentimenti reali rompe l'illusione del teatro.
La regista del documentario mischia le prove sul palco con frammenti di confessioni dietro le quinte e gradualmente ciò che era iniziato come una divertente rivisitazione contemporanea del più famoso dramma teatrale sull'amore impossibile diventa complicata realtà quando i sentimenti degli attori iniziano a sovrapporsi a quelli dei personaggi. Shakespeare aveva compreso benissimo che l'amore vero è necessariamente sorprendente, rivoluzionario e inarrestabile.
Face
ORE 22:30 • FACE [Volti]
di Adele Wilkes
Australia 2010
26 minuti, inglese con sottotitoli italiani
Una regista e fotografa di arte erotica segue il progetto collettivo Beautiful Agony, in cui persone comuni filmano il proprio volto durante l'orgasmo. Il voyeurismo della regista entra presto in crisi: abituata a filmare il nudo altrui, non riesce a mettersi a nudo di fronte alla macchina da presa.
FACE è un documentario intimo che presentando un collage eterogeneo di testimonianze e interviste ai fondatori di Beautiful Agony offre un viaggio erotico e rivelatore attraverso l'esperienza del piacere corporeo, al contempo assolutamente universale e misteriosamente individuale. Un'esplorazione coraggiosa e puntuale dei limiti del voyeurismo, dell'arte e del sesso, e di come ciascuno di noi si trovi sospeso tra identità personale e innegabile appartenenza alla specie umana.
sabato
I Shot My Love
ORE 21:00 • I SHOT MY LOVE [Ho ucciso il mio amore]
di Tomer Heymann
Israele 2010
55 minuti, ebraico con sottotitoli inglesi e italiani
Il regista israeliano Tomer Heymann, a Berlino per la presentazione del suo precedente lavoro, conosce Andreas e, quando l'incontro occasionale tra i due si trasforma in una relazione duratura, la presenza della madre di Tomer si insinua nel loro rapporto. Improvvisamente si aprono ferite vecchie di decenni legate all'Olocausto e Tomer si ritrova suo malgrado combattuto tra l'amore per la sua madre israeliana e quello per il suo nuovo fidanzato.
Tomer Heymann registra la sua vita da vari anni, parallelamente alla sua attività di documentarista, convinto che i momenti significativi siano tali solo se fissati per sempre in video. Per la prima volta, l'oggetto di un suo documentario è la sua stessa vita.
Regretters
ORE 22:00 • REGRETTERS [Pentimenti]
di Marcus Lindeen
Svezia 2010
60 minuti, svedese con sottotitoli inglesi e italiani
Orlando è stato uno dei primi casi di riassegnazione dell'identità di genere in Svezia. Mikael invece si è sottoposto all'operazione quando aveva già 50 anni. Orlando è oggi a suo agio in una condizione intermedia, Mikael vorrebbe disperatamente tornare indietro e annullare l'operazione chirurgica che l'aveva reso donna. Seduti l'uno di fronte all'altro, si raccontano le proprie vite, fatte di crisi, scelte, difficoltà e soprattutto errori.
Marcus Lindeen riesce a trattare un tema esplosivo con un rispetto e una partecipazione emotiva ammirevoli. Lasciando che Orlando e Mikael si confessino sogni, amori traditi, speranze e disillusioni, Regretters ci mostra quanto anche la ricerca di se stessi possa essere un processo per prove ed errori. Questa incredibile storia rivela alla fine il suo elemento più stupefacente: la sua rilevanza per ogni essere umano.

Gender DocuFilm Fest 2011 - Seconda edizione

“Specie in via di espansione”


Dal 25 al 27 agosto 2011

Tutte le proiezioni partiranno alle 21.00.

Ingresso gratuito dalle 20.00 alle 21.00

dopo le 21 ingresso a pagamento

Giovedì: 8 € - Venerdì: 15 € - Sabato: 18 € (compresa consumazione)

presso il GAY VILLAGE 2011

Roma Eur - Parco del Ninfeo -

Via delle Tre Fontane angolo Via dell’Agricoltura


Info:
www.genderdocufilmfest.org

www.gayvillage.it




mercoledì 24 agosto 2011

Le puttanate di Gay. Wave. Marco Mengoni come Daniel Argentino.

Cosa hanno in comune Marco Mengoni e Daniel Argentino (Mister Gay 2011)?

Sono tutti e due ragazzi?
No!
Sono tutti e due belli?
No!
Sono tutti e due giovani?
No!
Sono tutti e due famosi?
No!
Sono tutti e due gay?
No (anche se per l'autore del post Marco è presumibilmente della parrocchia!

Hanno in comune la voce.
Sì la voce, non quella del cantante ma la “voce di tutti i giorni” parola di Mik, autore dell'articolo, che sul sito GayWave afferma che, sono stati proprio diversi fan a farci notare questa divertente somiglianza tra la voce di Marco e quella di Daniel.

Basta confrontare le due voci. A voi la risposta.





In realtà le due voci sono molto diverse. Più profonda e vagamente tamarra quella di Daniel e più alta e gentile quella di Marco. Ma cosa non si farebbe per poter titolare il post

Marco Mengoni a Mister Gay Italia 2011? No, è Daniel Argentino!

 

Claudia de Lillo e le persone trans: un articolo piccolo e miope su D di Repubblica



Di solito non mi capita di leggere D(onna) di Repubblica. Molto per caso mi imbatto in questo articolo radical chic falsamente aperto e ben disposto alle persone trans, con la classica sinistra ipocrisia di chi si sente antiberlusconiano e dunque crede di avere presentato la sua patente di persona tollerante e progressista, mentre invece vive nella melma del più bieco pregiudizio. E' quello  che capita ad Elasti, al secolo Claudia de Lillo, l'autrice di questo scritto, che crede di avere uno sguardo sul monto aperto e tollerate e invece cade nei più tri(s)ti luoghi comuni. Vediamo.
Il carrello della spesa e tutti quei perché
Ritrovarsi a spiegare il mondo a un bambino mentre sei alla cassa del supermarket nella città di A
di Elasti
Oggi mi è successa una cosa terribilmente imbarazzante",
Le virgolette non aperte non sono un errore mio ma un errore d'impaginazione di D, visto che la O secondo una consuetudine grafica è di corpo (dimensione del carattere) ben maggiore di quella del resto dell'articolo sarebbe dovuta essere la virgoletta al posto della O che invece, semplicemente, è andata persa. 
ha detto mio marito, rientrando a casa dal Dipartimento di Economia dell'Università di A, in Massachusetts, dove lui incontra economisti marxisti con cui sognare l'equazione della rivoluzione proletaria mentre noi, gli altri quattro quinti della famiglia, trascorriamo le vacanze.
Come dire un modo molto poco marxista di dire descrivere qualcosa di marxista. Il marito - maschio - lavora e la donna e i figli stanno in vacanza...
Era nell'ufficio assegnatogli dall'università, immerso nell'analisi del fondamentale testo A future for Socialism?,
è un libro di John E. Roemer, pubblicato negli USA dalla Harvard University Press, Cambridge (Mass., 1994), e tradotta in italiano col titolo "Un futuro per il socialismo" e pubblicato da Feltrinelli. Nel libro si propone un socialismo liberale nel quale, tra le altre cose, i lavoratori hanno una forte compartecipazione azionariale in modo da mitigare la tendenza dei capitalisti al litigio facile... Insomma un libro socialista nel mondo pragmatico americano...
Però vuoi mettere citare il titolo di un libro di politica ed economia senza nemmeno citare l'autore, e in inglese, dando per scontato (su una rivista dedicata alle Donne non alle donne imprenditrici o che studiano economia o politica...) che tutti lo (ri)conoscano, fa più fico no?
quando l'addetto
addetto, quindi un uomo
alle pulizie aveva bussato, chiedendo permesso con una possente voce baritonale. "Good Morning, Sir", aveva salutato l'assorto economista
il marito di chi scrive che si rivolge al consorte in terza persona...
senza distogliere lo sguardo dalla pagina. "I am not a Sir", aveva risposto piccato
piccato, di nuovo al maschile
l'inserviente che aveva una gonna a balze, una camicia scollata, un seno prorompente e un paio di vezzose treccine e che no, non era un signore nonostante la barba ispida e i polpacci da terzino.
Ecco l'apoteosi di chi crede di essere spiritoso e invece tradisce il più bieco odio per le persone trans.
Dalla descrizione che Elasti ne fa l'inserviente ci appare più come Freddy Mercury nel video di I want to Brake Free che una persona trans realmente esistente.
Ora non si capisce con quella descrizione contraddittoria a chi o a cosa Elasti voglia riferirsi.
La gonna a balze, la camicia scollata, il seno prorompente e il paio di vezzose treccine
sono i segni esteriori di un'immagine del femminile alquanto stereotipata ma se Elasti si permettesse di insinuare che quella persona è meno donna (qualunque sia il suo sesso biologico) perchè non ha quei segni esteriori le femministe la sgozzerebbero per berne il sangue (e farebbero bene). D'altronde i polpacci da terzino e la barba ispida dovrebbero tradire il sesso biologico di un uomo anche se una donna può avere lo stesso polpacci sviluppati senza essere per questo meno femminile e avere una peluria diffusa sul viso. Per cui non si capisce chi Elasti stia descrivendo se una dona canonicamente considerata meno femminile, un uomo travestito da donna (come sembra dalla descrizione) o una trans (parola che per il momento l'autrice si è ben vista dall'usare). Una trans ben strana però dato che almeno una rasata un uomo che si sente donna può darsela senza mettere mano all'elettrocoagulazione... basta un rasoio come fa qualunque uomo che va a lavorare in un posto pubblico e ci va rasato perchè la barba ispida risulta una forma di trasandatezza. Ma invece di notare tutte queste incongruenze scaturite dalla sua descrizione (che poi e indiretta visto che l'inserviente l'ha incontrata suo marito) Elasti dà per scontato che per la persona in questione avere in sé questi segni contraddittori di maschile e femminile sia una cosa pacifica e infatti commenta come segue.
Già. Nella bizzarra città di A,
quindi l'inserviente è una persona bizzarra come la città di A...
dove nella biblioteca pubblica si legge tutti insieme Il Capitale,
perchè chi legge Il Capitale è bizzarro...
dove le donne sono liberate e non si depilano le gambe,
la liberazione non passa per l'autodeterminazione, per l'emancipazione lavorativa,  che comunque non evita la sperequazione salariale dato che le donne negli States prendo circa il 30% in meno degli uomini a parità di professionalità (e se nella città di A, contrariamente al resto degli States ciò nona viene magari andrebbe sottolineato...), la liberazione c'è e basta e le donne non si depilano le gambe...
dove per la strada si gira a piedi nudi ("Allora anche io, mamma!". "Prima devi camminare sul mio cadavere, amore") e a scuola si allevano camaleonti, la ricerca di se stessi passa anche attraverso qualche ossimoro.
Ossimoro: accostamento di due termini in forte antitesi tra loro. Una figura retorica  costituita da una combinazione di parole tale da creare un originale contrasto, ottenendo spesso sorprendenti effetti stilistici. Esempi: disgustoso piacere, illustre sconosciuta. (da wikipedia)
Quindi Elasti conferma il proprio pregiudizio. Per lei una donna barbuta è ossimorica proprio quanto un uomo con la gonna (esclusi probabilmente i Kilt). Insomma non siamo lontani dal gossip di peggiore specie (ha visto come va in giro conciata quella? sembra una trans)...
Però la ricerca di se stessi ancora non individua l'inserviente la cui unica cosa che sappiamo è che non ama che ci si rivolga a lei dandole del signore (I'm not a Sir)
L'altro giorno ero con i miei figli in coda alla cassa del supermercato. "Hai visto quello?". "È una femmina, non vedi?". "No, è un maschio!". "Porta un vestito a fiori...". "Ha la barba". "E i capelli lunghi". "Mamma, è un uomo o una donna?". "Mamma, perché?".
E qui si compie il delitto più odioso spacciare una serie di stereotipi di genere come perplessità infantile scaturita da una persona trans.
"Porta un vestito a fiori...". "Ha la barba". "E i capelli lunghi". Sono stereotipi di genere, anche abbastanza vetusti.
Gli uomini portano i capelli lungi da sempre. Anche io li porto e non sono per questo meno uomo (=appartenente al genere maschile). Lo stesso dicasi per un vestito a fiori (qui la parola vestito è ambigua perchè non si capisce se si riferisce a un capo di vestiario normalmente pensato per uomini la cui incongruenza sono i fiori sopra disegnativi, come dovrebbe essere se si sottolineano i fiori, nel qual caso anche Formigoni diventa una trans


oppure vestito si riferisce a vestito femminile (dress in inglese...) nel qual caso secondo lo stereotipo di genere è un abito poco consono agli uomini a prescindere dalla fantasia stampata sul tessuto con cui è fatto...

Per cui cara Elasti, prima ancora di rispondere cercando di spiegare ai tuoi figli chi è la persona che hanno incontrato al supermercato, dovresti far presnete ai tuoi figli che non è il vestito a fiori o il capello lungo che fanno di una persona una donna e nemmeno la barba visto che anche le donne hanno dei peli (anche se meno ispidi di quegli degli uomini beninteso). Per cui quale ce sia l'entità del freak che i tuoi figli hanno visto dovresti correggere in loro, facendogli notare l'inconsistenza, i luoghi comuni sessisti con cui catalogano le persone in base al loro aspetto esteriore.
Ma Elasti non mi sente e prosegue inesorabile


"Sono 75 dollari", comunicò il cassiere, o la cassiera che sul petto portava una targhetta con il nome: "Chris", unisex e inutile nella ricerca di risposte certe e rassicuranti.
Quindi l'ambiguità di queste persone (uomini? donne?) è tale che bisogna cercare conferma al sesso di appartenenza nel nome e se anche questo non aiuta allora è la fine.
Quel che non è chiaro è il punto cui Elasti vuole arrivare. A cosa serve questo discorso? Cosa ci viole comunicare Elasti?
Quando servono, gli economisti marxisti sono sempre altrove.
Cioè il marito, il maschio, l'unico che in una situazione di emergenza è in grado di sostenere la povera, fragile e sprovveduta donna.
Mi ritrovai sola, con il carrello colmo di spesa e l'urgenza di un gigantesco interrogativo sospeso. "Spiegare il mondo a un bambino è l'esperienza più arricchente, stimolante e gratificante che conosca", avevo spavaldamente dichiarato un giorno, senza immaginare che uno scandalizzato "Mamma, perché?", alla cassa del supermercato, pronunciato da un cinquenne conformista e inquisitorio avrebbe dato la misura della mia inadeguatezza. Certi "perché?" sono più impegnativi e terrificanti di altri e la responsabilità di consegnare a qualcuno la propria visione dell'universo è un fardello troppo gravoso per un carrello della spesa, un giovedì pomeriggio di agosto, a 6.300 chilometri da casa. "... Mmmh... Ehm, cof cof... Ci sono persone che nascono maschi ma vorrebbero essere femmine e altre che nascono femmine ma vorrebbero essere maschi" "Io, per esempio, se fossi nato femmina mi sarei suicidato". "Pure io". "Di questo parliamo dopo.
Come di questo parliamo dopo?! Questo è forse il cuore del perchè ci sono persone Trans (che non sopportano il fardello dello stereotipo di genere tanto da preferire approdare al sesso opposto) e tu invece di correggere tuo figlio gli dici che ne parlate dopo?
Quello che volevo dirvi è che ci sono persone che vivono intrappolate nel loro corpo e vorrebbero averne un altro.
Intrappolate nel corpo o nelle convenzioni sociali come te Elasti?
Si guardano allo specchio e non si riconoscono. Sono uomini fuori e donne dentro o viceversa. Sono in prigione e non possono uscire o scappare". "Allora si travestono da quello che non sono?".
Si travestono da quello che non sono. Ed ecco spiegato perchè tutti i giornalisti e le giornaliste continuano a rivolgersi alle trans m to f al maschile perchè non vedono donne trans ma dei travestiti, degli uomini che si travestono da quello che non sono.
"Già. Cercano di somigliare a quello che vorrebbero essere. A volte però sono tristi perché non basta un vestito a fiori per trasformarli in una bella signorina".
Ed ecco l'apoteosi dello stereotipo di genere. Se anche una donna biologica non si trucca come una quarantenne anche se ha vent'anni  viene considerata meno femminile figuriamoci un uomo che transita verso l'altro sesso...
Vediamo le cose sempre con l'occhio del pregiudizio: Ci sono donne biologiche diversissime eppure tutte diversamente femminili, e ci sono trans m to f diversamente femminili esattamente allo stesso modo
"Un bel vestito a fiori però può aiutare...".
E qui viene sfiorato un altro punto ignorato e invece interessante. Il fatto cioè che le trans m to f per apparire più femminili iperboilizzano i tratti dello stereotipo di genere diventando iperfemminili. Un'altra occasione mancata per Elasti
"Certamente. In ogni caso, quando vedete un uomo vestito da donna o una donna che sembra un uomo, non dovete ridere o indicare con il dito. Si tratta di persone che cercano di essere se stesse. E voi dovete essere rispettosi e gentili".
Magari però Elasti prima di insegnare ai tuoi figli di essere  rispettosi e gentili dovresti imparare a esserlo per prima tu evitando di dare certe descrizioni o di fare certi commenti.
Loro rimuginano, mentre io infilo la spesa nel bagagliaio della nostra macchina in affitto, automatica, americana e, come dicono i miei figli, "molto tamarra". "Ho visto che Chris non ha un braccialetto". "E nemmeno un cerchietto, povero. Potremmo regalargli le tue cose da femmina la prossima volta che veniamo al supermercato. Va bene, mamma?". "Mamma, perché non ti dipingi le unghie di viola, come Chris?".
Le tue cose da femmina. Anche il futuro è bell'e ipotecato...

Ho scritto una mail ad Elasti. Se mi risponde ve lo faccio sapere.