mercoledì 28 settembre 2011

Le parole per dirlo: ancora sull'outing e sull'omofobia

In questi giorni di polemiche sull'outing che tutti a parole dicono di volere ma che in realtà, con la scusa che quello fatto da listaouting è anonimo e senza prove, nessuno in realtà vuole (ragioni giustissime ma usate come motivazioni sbagliate, infatti in Italia nessuno crede legittimo questo strumento di lotta politica) e la foga dell'indignazione si staglia con tutta la sua ombra sull'outing confondendo le critiche di merito con quelle di metodo (c'è chi è arrivato persino a dire che il metodo rimette in discussione il merito...) due elementi sono emersi con chiarezza.


1) Bisogna ridefinire il significato della parola omofobia.
In realtà la parola non andrebbe proprio usata perchè, costruita come le altre fobie, l'omofobia sarebbe una sorta di malattia dalla quale si va curati e non certo accusati. Anzi c'è chi giocando proprio su questa ambiguità arriva a dire che l'omofobia non esiste (e come malattia è vero, non esiste,  nessuno è omofobo perchè si sente male quando vede un gay come capita a chi ha paura, che ne so, dei ragni...).
C'è chi intende omofobia come omosessualità repressa, altro termine odioso, perchè represso non ha il significato politico o sociologico di coatto, cioè costretto dallo stigma sociale e dal ludibrio (anche interiorizzato) per l'omosessualità propria e o altrui. Anche in questo caso si tratta quasi di una malattia. La pensa così, per esempio, Filippo Riniolo che su Faccialibro rispondendo a me scrive:
non serve la psicanalisi per capire il collegamento fra il senso di colpa nel sentirsi sbagliati e condannare l'omosessualità. io ho fatto coming out a 14 anni ma per secoli gli omosessuali vivevano la loro omessualità completamente immersa nel senso di colpa e nell'omofobia. e molto lo fanno tutt'ora.
Questa argomentazione psicologica che fa l'essere velati un elemento da trattare con rispetto e non come arma, secondo i detrattori dell'outing dimostra come il concetto stesso di omofobia sia ambiguo e che non ha il signficatoche invece dovrebbe avere.

Wikipedia parla di paura e l'avversione irrazionale.


Per il dizionario Hoepli Online è una Avversione ossessiva.

Per il dizionario Fasterdiccom è paura dell'omosessualità e/o conseguente avversione contro gli omosessuali, basata sul pregiudizio, in analogia al razzismo o alla xenofobia.

Insomma da tutte queste definizioni emerge che l'omofobia:
è irrazionale
è una avversione
è un pregiudizio.
Insomma, sembrerebbe quasi dire, in fondo, questi omofobi, poverini, che pena...

In questo modo la pensa per esempio Rita De Santis presidente (incauta) dell'AGEDO, che dice:  essere omofobi invece è un indice di pregiudizio figlio dell'ignoranza.


Adesso passi l'equivoco dei dizionari sulla parola costruita su un'analogia linguistica assai infelice, ma che pezzi di movimento (Riniolo, AGEDO) possano avere la stessa ingenuità politica la dice lunga sulla salute e l'efficacia delle lotte di rivendicazione glbtqi.

Al di là di questi elementi che non nego in alcuni casi possano essere presenti o determinanti, le ragioni dell'omofobia, le sue cause e i suoi effetti nella società sono squisitamente politiche.
Se posso credere che l'avversione per i migrati della mia vicina di casa sia costruita su un pregiudizio (alimentato ad hoc da stampa e tv) non mi sfiora nemmeno l'idea che Bossi, Calderoli, Forza nuova o chi volete voi siano vittime del pregiudizio quando vomitano la loro merda xenofoba.

Una vittima la curo, la educo, non la combatto politicamente.

Dire che alla base dell'omofobia c'è il pregiudizio, la paura irrazionale, non vuol dire solo assolvere l'omofobo dalle sue responsabilità morali e politiche significa misconoscer egli effetti sociali, morali e politici dell'omofobia.

L'omofobia vuol dire non riconoscere dignità umana all'orientamento sessuale gay,  lesbico e bisex che viene percepito, definito, catalogato come immorale, disdicevole, nocivo per la società e per questo riprovevole, e promuovere con le parole e con gli atti politici, intellettuali, fisici e concreti la discriminazione sociale, legislativa, amministrativa e morale, delle persone omosessuali (lo stesso vale per la transfobia che riguarda le persone transessuali) contribuendo ad alimentare lo stigma che tiene omosessuali e trans ai margini della società.

La radice dell'omofobia è proprio la percezione che si ha dell'omosessualità e riguarda anche persone insospettabili come Rita De Santis che considera infamante l'aver detto di alcuni politici che sono gay.

Ancora oggi per offendere un uomo gli si dà del frocio. Finché ci si sentirà offesi non dall'intenzione di offendere di chi ci dice frocio ma dalla parola di per sé a noi attribuita non saremo mai liberi dall'omofobia.

Ecco una spiegazione in più alla domanda infelice e fascista che Biagi (un trombone di giornalista diventato santo dopo che Berlusconi lo ha ostracizzato) e Gaber (un compagno e si sa cosa pensano anche i compagni dell'omosessualità)  (si) fecero a proposito dell'orgoglio gay: ma cosa avranno mai da essere orgogliosi?

Sono orgoglioso di essere quello che per (gran parte del)la società è una parola usata come offesa.


L'omofobia è una ostilità discriminatoria che si origina e si propaga attraverso un preciso, lucido, e cosciente progetto politico. Progetto politico costruito sul maschilismo patriarcale e misogino.

Nella migliore delle ipotesi l'omosessualità è tollerata (e già questo di per sé è discriminatorio e dunque omofobico) e relegata nella camera da letto. Ogni volta che amici, compagni di partito ci rimproverano che parliamo sempre di gay la discriminazione è ancora tutta lì.

La vera rivoluzione la stanno facendo le coppie gay e lesbiche stabili (mediamente stabili, come quelle etero) e le famiglie omogenitoriali.

Loro stanno mostrando di essere nella società, visibili, con i propri affetti esattamente come le coppie etero (non dovremmo nemmeno starlo a ribadire non ci fosse la discriminazione) mentre il movimento e i militanti si baloccano col politicamente corretto e stigmatizzano pure l'outing.

2) Nell'equazione dell'outing ci sono almeno tre elementi. Il primo in ordine di importanza è l'essere omofobi (e adesso sappiamo meglio cosa intendiamo) a definire gli altri due però abbiamo un po' di difficoltà.

L'essere nascosti (o velati per usare un aggettivo caro al movimento).
Ci si nasconde per ovvi motivi.
Ma questi motivi sono davvero così chiari?
Non mi interessa qui fare il punto sull'essere velati, questione complessa che richiederebbe un post a sé. Qui voglio solo ricordare come, nella discussione sull'outing, tutti si sono profusi a spiegare e ribadire che quello alla velatezza è un diritto.
Strano come le persone che hanno criticato l'outing (nel merito non nel metodo davvero indifendibile) sono le stesse che poi, nel loro privato, criticano chi è velato. Se tutti facessimo coming out l'omosessualità, dicono, sarebbe accettata più facilmente. Registro solo le opinioni in proposito, ad analizzarle lo faremo un'altra volta.

Certo è che i motivi di velatezza dei politici omofobi (quelli colpiti dall'outing) non sembrano almeno apparentemente poi così diversi da quelli dei privati cittadini.
Come io ho paura che se dico al posto di lavoro che sono gay mi licenziano (magari il problema fosse solo l'essere "presi in giro") i politici hanno paura che se dicessero apertamente sono gay perderebbero dei voti.

Qualcuno potrebbe pensare che anche i gay votano ma nel mondo della politica dove le categorie contano solo per le percentuali di voti, i voti che spostano i froci sono solo il 2%, tanti per un partito piccolo come SEL (che infatti ne fa una sua battaglia) quasi insignificanti per un partito di massa come il PD (che infatti ne parla solo perchè costretto).
Certo non tutti i politici velati sono omofobi.

E certo il connubio velatezza e omofobia è davvero difficile da spiegare.
Per questo per qualcuno l'essere velati e al contempo omofobi  si spiega con considerazioni psicologiche, quelle che vengono dal fraintendimento dell'etimo omofobia (la fobia per i gay non il disprezzo consapevole) si disprezza negli altri quel che non si accetta nemmeno in se stessi.
Una spiegazione troppo stretta e che non funziona sempre.
Anche perchè ci si dimentica che non ci sono solamente gli e le omosessuali, ma anche i e le bisex vero fumo negli occhi per il movimento. E qui arrivimimo al cuore di questo post.

Delle tre componenti dell'equazione omofobia: essere omofobi essere velati ed essere gay. La terza componente è quella che dà più problemi ad essere descritta a cominciare dal sito listaouting dove possiamo leggere (in realtà oggi non più quel primo psot è stato sostitutivo dall'elenco dei 10 nomi...):
L’outing (...) è uno strumento politico [che] (...) consiste (...) [nel]  dichiarare pubblicamente la pratica omosessuale o di altre differenti sessualità di politici preti, persone note e influenti, che attraverso azioni concrete e prese di posizione offendono e discriminano le persone gay, lesbiche e transessuali.
la pratica omosessuale o di altre differenti sessualità. E' talmente difficile da descrivere che si ricorre a un triste giro di parole.
Una semplificazione simile la fa Riccardo Camilleri in un suo articolo sul sito tr3nta , peraltro molto interessante, quando dice In attesa che si plachino le polemiche attorno alla rocambolesca azione di Outing all’amatriciana sui politici di centrodestra che, pur su posizioni omofobe, praticherebbero sesso con omosessuali o transessuali.
Insomma è talmente difficile indicare chi fa cosa e con chi che Riccardo ha pensato bene di riassumere il tutto indicando l'orientamento sessuale dei partner degli omofobi velati ai quali si fa outing.

Lo stigma, l'omofobia, fa mancare parole chiare, pratiche descrittive limpide e non sospettabili di omofobia.
E forse è venuto il tempo di rispondere una volta per tutte ad alcune domande che, evidentemente, nemmeno noi militanti ci siamo mai posti.

Un uomo sposato, con figli, dunque etero, che va a letto con un altro uomo, diventa Gay? O lo è smepre stato e il suo matrimonio è una copertura?
Da un punto di vista  semplicemente descrittivo, senza fare processi alle intenzioni, un etero che fa sesso gay diventa o è un bisex (con buna pace dell'ala estremista del movimento). Pensare che solo perchè ha avuto dei rapporti con persone dello stesso sesso il matrimonio sia solo una copertura è pensar da maschilisti, da omofobia.
Lo stesso vale per la persona con cui si fa sesso. Io uomo faccio sesso con un altro uomo, non con un omosessuale. e non solo perché potrei fare sesso con un altro bisessuale come me, ma perché ci sono anche gli etero.
Insomma l'aggettivo omosessuale, anche quando viene usato come sostantivo, non individua una condizione oggettiva, un modo di vedere il mondo. Non tutti siamo gay allo stesso modo. L'aggettivo indica solo l'assortimento sessuale tra i partner dello stesso sesso (omo) o di sesso diverso (etero). Non conta l'orientamento sessuale ma solo il sesso di appartenenza. Insomma io faccio sesso gay se vado a letto con una persona del mio stesso sesso, non se vado a letto con un gay, un bisex, etc.
Che poi la parola gay indichi un comportamento sociale, una nicchia di mercato, una categoria di consumatori, questo è un altro paio di maniche. L'outing non sindaca sul tipo di gay che sei, critica solo chi fa sesso con persone del proprio sesso ma pubblicamente discrimina i diritti delle persone omosessuali.
Lo stesso vale per le persone trans. Nonostante quel che pensano molti (anche tra i militanti stessi) Marrazzo non è gay perchè ha fatto sesso con una trans. Una trans per definizione è un uomo che ha transitato (sta transitando) verso il sesso femminile. Dunque desiderando una donna trans Marrazzo è  e resta eterosessuale. Solo chi vede in una trans un ex uomo (distinzione transfobica) può pensare che Marrazzo sia gay.

Purtroppo l'aggettivo\sostantivo omosessuale ingenera moltissimi equivoci, come quello che vede il matrimonio per persone dello stesso sesso un matrimonio tra gay. A parte i (le) soliti(e)  bisex ignorati, la legge italiana non impedisce il matrimonio tra gay, ma tra persone dello stesso sesso. Anzi nessuno può impedire che io, dichiaratamente gay, e una mia amica, dichiaratamente lesbica, ci si sposi.

Ecco perchè, per quanto scomode e lunghe da leggere, non si possono usare certi aggettivi, perchè confondono i paini e i livelli.
Dunque si dirà matrimonio anche tra persone dello stesso sesso (perchè è lo stesso matrimonio cui fanno uso le persone etero) e, nel caso di omofobi cui fare outing, si dirà che hanno relazioni sessual-sentimentali con persone dello stesso sesso o con persone trans.

Tra l'altro dire dei politici outingati che fanno sesso con persone dello stesso sesso impedisce loro di giustificarsi dicendo: Ci sono «centinaia di donne in apprensione» per me come Mario Baccini (Misto-Pdl). Così come dire che c'è chi fa sesso con persone trans senza implicare un orientamento sessuale altro rende irrilevante la specificazione sono un banale eterosessuale, come fa Maurizio Gasparri.
Non importa quello che sei importa quello che fai.

Perchè le parole portano con loro smepre un giudizio implicito che non dobbiamo mai dimenticare di esplicitare e mostrare di essere consapevoli e davvero intenzionati a usare quella parola con quel significato.
Altrimenti dall'omofobia non ne usciamo più.