venerdì 23 novembre 2012

Apre la terza edizione di Queering Roma. Quest'anno ltre afi film (tra alti e bassi) anche due mostre fotografiche dibattiti sulla letteratura e il banchetto della libreria lalla lulli.e

Ce l'ha fatta Armilla a far veder luce alla terza edizione di Queering Roma la prima festa del cinema lgbt della capitale (dopo alcune edizioni di un festival simile, perso nella memoria del primo mandato di Rutelli come sindaco, quando Vanni Piccolo, 18 anni fa, era a capo dell'assessorato per i diritti delle persone omosessuali) grazie alla pervicacia sua e della Provincia di Roma, nella persona dell'assessora alle politiche culturali Cecilia D'elia e, tra gli altri,  di Cristiana Alicata che, con lo sponsor Lancia, ha contribuito a dare alla festa l'adeguato respiro economico e dunque anche la nuova sede con meno posti ma istituzionalmente prestigiosa come la Casa del Cinema.

Dopo i saluti di Irene Pivetti, madrina di questa terza edizione e quelli di Gianni Minerba, che si è commosso mentre presentava l'omaggio di Queering a Ottavio Mai, suo compagno di vita pubblica e privata, scomparso 20 anni fa, e oggi giustamente ricordato per la sua attività di scrittore, regista e co-fondatore del primo festival di cinema lgbt d'Italia, il torinese Da Sodoma a Hollywood, dal quale Queering ha scelto i film in programmazione, il festival è iniziato con il blando The Perfect Family (Usa, 2011) di Anne Renton.
Il film va ricordato per la presenza nel ruolo da protagonista di Katleen Turner, imbolsita e precocemente invecchiata, ma non per la trama, davvero fuori fuoco e superficiale, che vede Eileen Cleary, una donna, madre e nonna, devota cattolica, che si dedica al volontariato,  in lizza per il concorso di donna cattolica dell'anno. Il suo problema è la famiglia non consona agli standard di santa madre chiesa: un figlio che sta divorziando (dalla donna che la famiglia lo ha costretto a sposare ancora teenager, perchè incinta di lui), una figlia che convive da sei anni con la sua ragazza, senza che la madre lo sappia (ma com'è possibile?!) un marito ex alcolista. 
Se il film vuole essere una critica al mondo cattolico e farsi speranza che le cose possano cambiare fallisce completamente il proprio intento.
La devozione di Eileen che nasce dall'enorme senso di colpa per avere abortito un terzo figlio in arrivo (come confessa alla figlia che ha perso il bambino che aspettava in seguito a un'inseminazione artificiale) non si basa sul fanatismo moralistico:  Eileen non fa attivismo, ma volontariato alla mensa, aiutando le persone anziane che non sono più autosufficienti.
Eppure la sua fede viene presentata come un fardello che ha fatto subire a tutta la famiglia, al figlio, costretto a sposarsi in giovane età, alla figlia che dopo sei anni non riesce nemmeno a invitare la madre al matrimonio con la propria compagna.
Una fede e una devozione che, lungi dall'essere esplicitata nei suoi tratti più reazionari sadici è fatta incarnare a delle donne pie descritte con malcelata misoginia. Una suora, attachée de monsignore che sostiene la candidatura di Eileen, è descritta in modo che lo spettatore la trovi antipatica, proprio come la concorrete di Eileen più devota ed attivista omofobica, mentre il monsignore e l'arcivescovo sono accomodanti e, in quanto uomini, molto più saggi e non isterici, così lungimiranti da dare il premio a Eileen anche dopo una sua lettera nella quale la donna confessa aborto e situazione familiare. 
Una commedia ipocrita e borghese che illude il pubblico, sprovveduto e superficiale, di stare facendo una critica alle persone cattoliche (applausi in sala quando Eileen urla alla figlia durante un litigio che lei non pensa perchè cattolica) senza mettere in discussione gerarchie o scalfire la superficie di una istituzione reazionaria, maschilista, misogina e omofobica.
Un film gattopardesco dove tutto cambia proprio perchè tutto possa rimanere esattamente com'è. Insopportabile e indigesto.
E se il pubblico convenuto lo compra uscendo dala sala soddisfatto, non solo il pubblico di semplici spettatori ma anche quello di militanza vuol dire che la sensibilità militante della comunità romana è inesistente prona al più becero veterocattolicesimo spacciato per democratico ecumenismo.

Ma si sa, il cinema,come diceva qualche anno fa Brunetta, è divertimento, è piano bar. E a vedere questo film e questo pubblico come dargli torto?


Lo slot delle 22 e 30 ha visto il cortometraggio di Peter Marcias Il mondo sopra la testa (Italia, 2012), un disegno animato nel quale un gruppo di omosessuali, gay e lesbiche, travestiti e drag queen, rapisce il primo ministro che ha dichiarato guerra alle persone lgbt, cercando di condurlo a posizioni più tolleranti, quando l'intervento della giovane nipote dell'uomo politico, che rende noto che il ministro ha un fratello come loro, permette la liberazione del rapito.
Colpo di scena (?) la bambina è un'attrice e i rapitori del ministro sono stati tutti uccisi.
Cortometraggio imbarazzante e irricevibile che mentre mostra una serie di persone che si comportano secondo i più triti cliché del caso, lesbiche butch, travestite parruccone e gay femminili, cade nei peggiori equivoci che tradiscono una profonda irrisolta omofobia interiorizzata.
Questo sparuto gruppo di attivisti si arroga il diritto di parlare a nome delle persone omosessuali, investiti di una rappresentanza inesistente e discriminatoria: ognuno parla per sé, nessun essere umano ha il diritto di parlare per conto di un gruppo, sia esso etnico o basato su una discriminazione come nel caso delle persone lgbt.
Il discorso politico imbastito dal corto è inesistente perché sviluppa tutto sul piano personale: l'odio del primo ministro nei confronti delle persone lgbt è presentato come insofferenza individuale e non decisione politica come avviene nel mondo reale.
Oltre al discutibile atto violento del rapimento, le ragioni strategiche del rapimento sono a dir poco naif, perchè dietro il primo ministro c'è un partito, un gruppo politico che discrimina. Non basta convertire un uomo per rendere un paese come l'Italia meno omofobico.
Anche la captatio benevolentiae della finta nipote del ministro (che non si capisce come conoscesse il nascondiglio del nonno rapito, né come lo conoscessero gli uomini del ministro)  si basa su considerazioni personali e non politiche e la morte cruenta dei rapitori devia dai veri problemi di un paese dove a essere picchiati e uccisi sono i comuni cittadini non degli improbabili fuorilegge (a memoria storica nessun movimento lgbt è mai stato violento né ha mai rapito chicchessia).
Insomma Il mondo sopra la testa è un deliro a colori per fortuna  accolto dal pubblico con un imbarazzato ma eloquente gelido silenzio.

Elegiaco, commovente, surreale, malinconico, poetico Dicke Mädchen (t.l. ragazza grassa) (Germania, 2011) di Axel Ranisch racconta dell'amicizia tra l'impiegato bancario Sven, che, non più giovane, vive ancora con la madre, malata di Alzheimer, e del badante Daniel, sposato e padre di due bambini. Sven è attratto da Daniel, Daniel si avvicina a lui perchè vessato da una moglie gelosa  (una sera che la madre di Sven esce di casa e i due si mettono a cercarla la moglie di Daniel crede che il marito l'abbia tradita). Dopo la morte della madre di Sven tra i due sembra nascere qualcosa, ma alle prime difficoltà di Sven ad accettare le visite del figlio di Daniel fanno sorgere al padre molti dubbi e i due si separano.
Il film ha molti momenti memorabili: tutte le scene con la madre, quando Daniel gioca con lei proprio come gioca coi suoi figli; quando la madre spia divertita dalla porta il figlio che, in intimità, si rilassa danzando nudo sulle note del Bolero di Ravel, o quando tutti e tre, una sera che Daniel è loro ospite perchè la moglie lo ha cacciato di casa, bevono e danzano e si travestono, da angelo, da clown, da poliziotto. Ancora il bagno nudi in un lago che li fa entrare in intimità se(n)suale. Fino alla visita del figlio prima che i due facciano l'amore (il figlio di Daniel li sorprende al loro primo bacio sulle labbra, in ascensore).
Nonostante il finale convenzionale dove l'omosessuale non è mai felice e non corona l'amore ma deve accontentarsi di un cambiamento di vita radicale (Sven parte per l'Australia come sognava di fare da tempo) dove l'amore è sublimato e mai consumato, il film ci mostra che l'omoafettività può nascere anche da un profondo sentimento di amicizia e di amore e non solamente dalla brama del corpo bello e sexy (anche se le nudità dei due personaggi, coi corpi imbolsiti e grassi sono tra le più sincere e belle che si siano viste da tempo immemorabile sugli schermi lgbt).
Un film altro che sa cogliere e raccontare una realtà non codificata secondo i classici cliché di un genere cinematografico troppo spesso diventato una forma commerciale, un bene di consumo e non più film che racconta, mostra, costruisce immaginario collettivo.
Girato con una mini-dv e realizzato in soli 3 mesi il film, diretto da un allievo di Rosa von Praunheim, ha vinto numerosi premi (tra cui una menzione speciale al festival lgbt di Torino) ed è ora in molte sale di tutta la Germania.
Meriterebbe anche una distribuzione italiana, ma, ovviamente, la cosa non accadrà mai.

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