mercoledì 18 gennaio 2012

La lotta all'omofobia: quando è pavida non ottiene risultati. A proposito di una intervista al padre di Ivan Scalfarotto presidente dell’Agedo Foggia pubblicata su Stato Quotidiano

Ho il massimo rispetto per tutti quei genitori di figli gay e figlie lesbiche che si costituiscono in associazioni per sostenere la legittimità dell'orientamento sessuale dei loro figli.
Finché ci sono sedicenti psichiatri che affermano la sofferenza dei genitori di omosessuali c'è bisogno di queste dichiarazioni di stima.
C'è bisogno di un pressing fatto dai genitori che cercano di fare un mondo migliore nel quale figli e figlie vengano accolti meglio.

Non vorrei però che il fatto stesso che questi genitori si danno da fare e dunque scelgano un percorso politico (=vita nella città) li faccia automaticamente degli esperti, dei competenti, persone cioè che hanno voce in capitolo e possono parlare a nome di e per conto degli omosessuali. C'è il rischio che si ingenerino strani parallelismi discriminatori.  A causarli sono quasi sempre i media  non i genitori stessi i quali si prestano a interviste (d'altronde sono un mezzo di comunicazione...) che finiscono per vanificare il loro lavoro.
E' un po' come quando si parla di una malattia degenerativa e si intervista una madre che da anni combatte per la sclerosi di sua figlia e che sicuramente, pur non avendo le competenze scientifiche che sono solo del medico specializzato, sicuramente è più informata di chi, come me spettatore (lettore) di quell'argomento ne so di meno perchè per fortuna quella disgrazia a me non è capitata.

Ed ecco l'equivoco che si genera. che dopotutto, il genitore del(la) omosessuale è un po' come il genitore del drogato del figlio terrorista che deve convivere con un grande dolore ma che trova il modo di superare il trauma...

Così nell'intervista a Gabriele Scalfarotto, padre di Ivan (Ivan Scalfarotto, vicepresidente del PD e che sicuramente rispetto tanti gay proletari è un privilegiato) pubblicata da Stato Quotidiano non possono che dispiacermi nel leggere quel che Gabriele dice o, meglio, quel che gli fa dire il giornalista di turno ma che Gabriele, una volta letta l'intervista, non ritratta.


Nonostante quel che si crede oggi, con l'emergenza omofobia gridata ogni volta che un fascista dice che l'omosessualità è una malattia o peggio un modello diseducativo di comportamento, gay e lesbiche nella nostra società vivono meglio di 30 anni fa. Forse dovrei scrivere meno peggio, ma dopo tutto è una questione di ottimismo.  Se oggi c'è una recrudescenza di loschi figuri che sparano a zero contro l'omosessualità rispolverando argomentazioni da medioevo è perchè, non ce lo diciamo mai troppo spesso, a questi fascisti omofobi intolleranti maschilisti e patriarcali manca la terra sotto i piedi, si rendono conto che lo stigma è grandemente ridimensionato e che presto anche l'Italia, pur fanalino di coda, dovrà recepire nei suoi ordinamenti quei diritti finora negati alle persone glbtqi e ampiamente riconosciuti altrove.

Purtroppo in un paese come il nostro con la classe intellettuale più analfabeta d'Europa (per parafrasare Pasolini) la retorica dei discorsi pro omosessualità è rimasta ferma a 40 anni fa e oggi questa retorica rischia di essere deleteria.

Perchè mentre la società, cioè i cittadini e le cittadine omosessuali, sono andati avanti da soli (da sole) e si sono create una stabilità di affetti e di protezione e solidarietà nonostante e contro le discriminazioni dello Stato, raggiungendo oggi il limite di quel che possono fare da soli chiedendo dunque che finalmente lo Stato faccia quel che come singoli non possono fare, gli strumenti cognitivi usati dai media sono ancora fermi al coming out e all'emancipazione dallo stigma quando il problema è quello dello Stato che non fa nulla per cancellare lo stigma ma lo propala  non riconoscendo ancora le famiglie gblbt, omogenitoriali o meno che siano, anche quando queste famiglie esistono e contribuiscono  alla crescita della società in tutti i campi non solo quelli luogocomunisticamente percepiti come precipui dell'omosessualità (arte, moda, spettacolo).


Ci sono dei racconti bellissimi nell'intervista di Gabriele (la sua reazione al coming out del figlio ‘Embè?’. Lui rise, io risi, ci abbracciammo”) ma anche in questa intervista, così come nella campagna di Arcigay, manca la questione fondamentale.

Il punto di vista di questi racconti è però sbagliato.

Si usa un cannocchiale al contrario che ci fa vedere quel che abbiamo vicino e cogliamo a colpo d'occhio, colto nel posto in cui vive, lontano, rimpicciolito e isolato.

Non si parla mai di come gay e lesbiche vivano nella società ma li si avelle sempre dalla società per parlarne in quanto omosessuali come quella fosse l'unica cosa che conta. Si parte per primi da quel quid su cui si basa la differenza, la discriminazione sull'essere omosessuali.

Il gay, la lesbica, il trans,[sic!] il bisesx vive la propria situazione come l’unica possibile. Agisce secondo quello che sembra. E’ la sua normalità.
Senza rendersene conto Gabriele dà ragione a Scilipoti. Questa frase avrebbe lo stesso senso (anche se ne cambierebbe il valore) sostituendone alcuni sostantivi così:
Il ladro, il drogato, il pedofilo, lo stupratore vive la propria situazione come l’unica possibile. Agisce secondo quello che sembra. E’ la sua normalità.
E la captatio benevolentiae che segue rimane soggettiva e debole
Purtroppo, il mondo l’ha abituato a credere che sia ‘diversità’ la sua. Tutto si gioca attorno a questa dicotomia normalità-diversità.
Ora che ci sia ancora omofobia interiorizzata è un dato di fatto su cui tutti dobbiamo lavorare. Ma che ci siano anche tanti omosessuali liberati che non possono godere degli stessi diritti degli etero è oggi l'emergenza politica più urgente da risolvere. Non per quelli e sono ancora molti che guardano alla questione omosessuale (uso apposta un lessico ottocentesco) con gli strumenti concettuali e culturali di 50 anni fa.

Tutti i problemi che investono figli  omosessuali e i loro genitori vengono imputati genericamente al Mondo 

Ma come è fatto questo mondo? Da chi è regolato, governato, amministrato?
Chi è che diffonde lo stigma?

Gabriele dimentica di dire che viviamo in una società dove quotidianamente  la Chiesa, le istituzioni, lo Stato, la televisione dicono di questi figli che sono malati, moralmente disordinati, che le loro unioni non sono degne di essere riconosciute come famiglie, che sono sterili, che non possono e non devono avere figli, che sono degli infelici.
Stato, Chiesa, istituzioni, governo. Non il generico Mondo. Ma un mondo, cioè una società così mal guidata e formata da nona accettare alcuni suoi cittadini e cittadine discriminandoli in nome di principi che sono contrari alla nostra Costituzione, che sono infondati scientificamente e che seguono un sentire comune patriarcale e fascista.

Gabriele ne fa una questione privata di padri (di madri) che si vergognano (perchè? Di cosa? non lo dice. Lo forse per scontato di cosa un genitore deve vergognarsi se il figlio è gay la figlia lesbica?) di figli che si suicidano perchè perdono l'affetto genitoriale.


Se un padre impedisce a una figlia di uscire con un certo ragazzo che al padre non sta bene quella ragazza può rifugiarsi da amici, da altri adulti, dalle istituzioni stesse e sa di avere dalla sua parte sé l'opinione pubblica che la difende e copre di ludibrio il padre intollerante.
Ma se la stessa figlia ha la ragazza e non il ragazzo le cose cambiano.

In questo caso la figlia sa che ha l'opinione pubblica contro di lei che al massimo la tollererà ma che spende anche parole di comprensione per quel padre devastato dalla notizia 
Persino Gabriele invece ha parole di comprensione per la reazione dei genitori alla terribile notizia.


(...) So cosa succede nell’intimo di un genitore posto di fronte ad un figlio che confessa la sua omosessualità, la sua diversità.
(Ecco la competenza del genitore del figlio malato che emerge)
“Ora chi mi guarderà più in faccia?” La seconda: “Dove ho sbagliato?” (...) Ci si interroga sulle influenze sulla famiglia, sulle scelte dei giochi e dei giocattoli, su cosa si poteva fare e non si è fatto o su quanto non si sarebbe dovuto fare ma si è fatto.
Purtroppo le spiegazioni che Gabriele dà sulla causa di queste reazioni sono del tutto insufficienti.
(...) l’omosessualità è recepita come una diversità. Diverso è ciò che non si conosce, l’altro da me. Come la morte. La si teme non in quanto conclusione di un cammino, ma in quanto ignoto, salto verso il buio.
Non è solo questione di diversità.

E' questione di stigma. Che è ben diverso. Uno stigma tanto più disperatamente alimentato quando parti sempre maggiori della società iniziano a non alimentarlo più, s circoscriverlo, a criticarlo.

Ma per Gabriele non è un problema pubblico, quindi delle istituzioni, dello Stato, degli aggregatori sociali, della religione, della morale. E' sempre e solo una questione personale, privata.
Chi reagisce in questo modo non ha per nulla briga di capire cosa pensano, sentono e credono i propri figli. Anzi, ai ragazzi presentano il conto. Che è un conto doppio. Isolati dai coetanei, agli occhi dei quali sono mosche bianche. Incolpati dai genitori. Ma cosa crediamo che gli adolescenti che si buttano giù da un balcone e che infarciscono le pagine di cronaca, sono matti suicidi che compiono il gesto estremo per un brutto voto? Un quattro in matematica si recupera studiando. Ma l’amore dei genitori e la stima dei compagni no.

Trovo insopportabile questo punto di vista, perchè incolpa i singoli genitori, vittimizza i figli (e le figlie) senza però individuare le vere cause, o, meglio, i diffusori del pregiudizi, i suoi amplificatori, Chiesa e Stato. Due agenzie sociali ben più forti e grandi della famiglia che (dis)educano tutte le famiglie.

Io posso scegliere le persone di cui circondarmi ma non posso scegliere le istituzioni in cui vivo se non a costo di cambiare Nazione. Non è solo una questione di genitori e compagni. E' una questione di chi e come educa questi genitori e questi compagni. Di chi li educa alla discriminazione e al pregiudizio

Dobbiamo aggiornare e rifondare profondamente il nostro armamentario retorico il modo di vedere il mondo e  presentare le esigenze delle persone omosessuali e trans alla maggioranza. Che non sono più una questione privata di autoaccettazione di sé o della propria prole ma una rivoluzione culturale che disinneschi la discriminazione omofobica in tutte quelle sedi dove questa può danneggiare dei cittadini discriminandoli in base al proprio orientamento sessuale o alla propria identità di genere.

Con tutto il rispetto per le intenzioni e la buona volontà di Gabriele e dei tanti genitori come lui abbiamo bisogno di parole nuove. Di pensieri nuovi. Di una nuova strategia politica e comunicativa perchè quella messa in atto è figlia dello stesso pregiudizio che si vuole combattere.

Chi parla male pensa male. A proposito del concorso letterario "Non dare per scontato il genere" di Gay Center Nido della fenice e Pianeta Queer

Leggo su Articolo21 un articolo di Marinella Zetti, che è un'amica. 

Nel pezzo pubblicato su Articolo21.info Marinella parlando delle persone omo\transessuali  (le chiama proprio così) dice che
E proprio la non-accettazione da parte dei genitori dovrebbe far molto riflettere: le persone omo/transessuali sono le uniche a non trovare rifugio e conforto nemmeno all'intero del proprio nucleo familiare.
Conosco personalmente persone che sono state cacciate di casa quando hanno fatto coming-out. Ragazzi che hanno dovuto interrompere gli studi e trovarsi un lavoro. Studenti del liceo dove lavoravo (fino all'anno scorso) cacciati di casa a 18 anni perchè non nascondono la propria omosessualità.
Capisco bene quello cui si riferisce Marinella. Quel che Marinella si dimentica però è che ci possono essere, e ci sono, tantissimi altri motivi per cui i genitori possono cacciare i figli di casa, o, più in generale, non accettare i figli per quello che sono.
Conosco figli che hanno grossi problemi coi genitori, padri, madri, o anche con fratelli e sorelle, dissidi insanabili per i più disparati motivi, un fidanzato (etero) non gradito, un orientamento politico aborrito, un lavoro esecrato (una professione artistica, magari nella danza o nella moda).
Trovo ingiusto per loro leggere che le persone omo/transessuali sono le uniche a non trovare rifugio e conforto nemmeno all'intero del proprio nucleo familiare perchè non è vero.
Lo trovo ingiusto anche per quei genitori, e sono tanti, più di quanti non si creda, che nei confronti dell'orientamento dei propri figli non hanno alcun comportamento differente, come la madre del mio ex ragazzo che ci portava la colazione a letto.

Già dire di un genitore che accetta il proprio figlio gay, la propria figlia lesbica, tradisce il fatto che noi per primi riconosciamo al nostro orientamento sessuale una eccezionalità tale da dover notare quando genitori e amici non sclerano, non ci buttano fuori casa, o non ci inducono al suicidio.

Purtroppo lo stigma è così diffuso nella società nella quale cresciamo tutti, anche noi, che introiettiamo l'omofobia e la coltiviamo con pervicacia.

Non dovrebbe fare notizia quando un genitore ci accetta in quanto gay dovrebbe fare notizia solo il contrario. Anche perchè la legge, quella dello Stato tanto vituperato e che Marinella per prima accusa di volerci come diversi nell'incipit del suo articolo, ci difende, non in quanto gay, perchè sarebbe discriminatorio per chi gay non lo è, ma in quanto cittadini.
La madre del mio amico buttato fuori di casa e diventato barista per necessità, per legge è obbligata a mantenere il figlio, anche se maggiorenne, se il figlio sta studiando per migliorare la propria formazione e trovare un lavoro migliore.  Il mio amico ha però preferito andarsene per non dover far causa alla madre (e spendere probabilmente tutti i soldi che lo Stato sicuramente l'avrebbe costretta a versargli in sedute dallo psicanalista). Però il mio amico ha rinunciato.Non ha fatto valere quei (pochi) diritti che aveva. Perchè?
Non dimenticherò mai una sera, nel 1984, quando siamo andati a prendere un nostro amico metallaro, alto 1 e 80, capelli lunghi fino ai fianchi, t shirt di un teschio, eye-liner agli occhi, per andare a un concerto, picchiato a calci e pugni dalla madre, alta un metro e 50, perchè non voleva che il figlio uscisse di casa conciato in quel modo.  
Di fronte la violenza della madre il mio amico che avrebbe potuto avere ragione fisica di quella donna nana in confronto a lui era diventato un esserino inerme che abbiamo dovuto letteralmente sottrarre all'odio e alla ferocia di sua madre. Ma come fai a difenderti da tua madre?

Non è affatto vero che le persone omo/transessuali sono le uniche a non trovare rifugio e conforto nemmeno all'intero del proprio nucleo familiare. E' un'affermazione ridicola e ingiusta che non rispetta e non riconosce tutti gli altri figli e figlie che sono stati cacciati di casa non per il loro orientamento sessuale.
E' discriminatorio ed esclusivista e anche vittimista.
Noi gay
siamo più maltrattati degli altri e vogliamo leggi ad hoc solo per noi. Purtroppo affermazioni come questa, dette in assoluta buona fede, conosco Marinella, sembrano dare ragione a quanti accusano le rivendicazioni glbtqi di essere rivendicazioni di lobby, di casta, o di razza, dimenticandosi che l'orientamento sessuale non accomuna per lo stesso modo di vedere il mondo (come gli ingenui o i furbi che pretendono che le persone omosessuali siano tutte di sinistra) ma solo per la comune discriminazione subita.

Peccato perchè dietro questi figli vessati, buttati fuori di casa per motivi che vanno ben oltre l'orientamento sessuale, c'è una radice comune di cui Marinella non si accorge: l'intolleranza, la mancanza di rispetto e di ascolto dell'altro, dell'altra, alle quali una volta eravamo educati nella società in tutti i suoi ambiti, dalla scuola all'oratorio o al centro sociale, al posto di lavoro oltre che dalla famiglia e che oggi la società ha delegato alla buona volontà del singolo.Ma per muoverci in un mondo sempre più complesso dobbiamo saper ragionare con acume e non soccombere alla facile tentazione della semplificazione vittimistica. Altrimenti si rischia di cadere nel ridicolo, nel discutibile e nel controproducente.


Per Marinella

Omofobia, transfobia e razzismo hanno un'unica radice: l'ignoranza. E prosegue

L'ignoranza genera paura e la paura rende “i diversi” mostri da emarginare, insultare, distruggere.
Quel che manca a questa analisi, a dire il vero superficiale e sui generis, sono le cause di questa ignoranza.  Le origini. Le sue ragioni. Perchè l'ignoranza  da sola non basta. Azni fosse solo questione di ingnoranza dovremmo giustificare tutti gli omofobi e le eomofobe perchè lo sono non per colpa loro. Lo sono omofobi non per volontà ma per ignoranza. Non nego che ci siano persone che sono omofobe per conformismo, perchè gli è stato insegnato così, perché si adeguano alla maggioranza, perchè nessuno, nemmeno le stesse pavide persone omosessuali, le hanno abituate a un gesto d'affetto omoerotico. Ma ci sono tanti tantissimi omofobi (omofober) per scelta.  Perchè l'omosessualità va a intaccare valori e principi del patriarcato. Religiosi. Morali. Altro che ignoranza! Ci sono persone che perseguono il razzismo scientemente. Per razzismo e per omofobia si uccide e non si uccide per ignoranza. Si uccide per una scelta, per un atto di volontà. Magari fosse solo una questione di ignoranza! Le radici dell'odio omofobico sono ben più complesse e le strategie per combatterlo non sono solo culturali ma POLITICHE nel vero significato del termine di vita nella città.
Io sono convinta che la cultura abbia un ruolo importante nella lotta alle discriminazioni; la cultura ci aiuta ad abbattere le barriere, ci permette di conoscere l'altro e scoprire che non è poi così diverso da noi, anzi è uguale a noi: è un essere umano.
Un proclama ecumenico e vagamente cattolico nei termini che parte da un presupposto sbagliato. PER ESSERE ACCETTATI NON BISOGNA ESSERE TUTTI UGUALI.
Le differenze (non le diversità) vanno accettate. Sono ila linfa della vita sociale e della cultura (in senso antropologico non nel senso stretto di Marinella). E questa verità culturale senza il sostegno politico stenta a essere riconosciuta.
Nel mondo descritto da AMrinella semrbano esserci solamente le persone e non lo Stato. Che invece ha una funzione imprescindibile.

Chi è che ci discrimina? Il singolo cittadino colpevole della sua ignoranza  o lo Stato organizzato e le sue istituzioni discriminanti?
Insomma colpa dei cittadini o colpa dello Stato?
Per Marinella non sembrano esserci dubbi. La colpa è dei singoli, di quella maggioranza silenziosa alla quale tutti ci mostriamo proni.
E noi persone “diverse” sappiamo bene cosa significa essere guardati con invadenza o disprezzo, ma per capirlo bisogna provarlo. Io l'ho proposto ai miei amici etero: provate per un giorno a prestare attenzione a tutto quello che fate o che dite per non “offendere” le false regole del perbenismo. Provate a riflettere: a una festa come presentereste la persona che amate? Un lontano cugino... un socio di lavoro... un amico d'infanzia? Portarla con voi a una cena diventa complicato, non potete abbracciarla o tenerla per mano in un luogo pubblico.
Non nego che per molti ci sia difficoltà a presentare un propri compagno a una festa come tale, o ad andare in giro mano nella mano, o ad abbracciare (baciare?) il fidanzato (la fidanzata) dello stesso sesso. Ma per Marinella si tratta di una difficoltà oggettiva che nasce  per non “offendere” le false regole del perbenismo mentre si tratta di omofobia interiorizzata. Perchè non è vero che  non si può abbracciare il partner (la partner)  dello stesso sesso o tenerla per mano in un luogo pubblico.

Se gli etero vanno educati, abituati a considerare queste effusioni con indifferenza (come afferma giustamente il felicissimo spot della ILGA portoghese di qualche anno fa) siamo noi a dovere dare l'esempio e a smettere di pensare che se abbracciamo una persona dello stesso sesso per strada stiamo offendendo le false regole del perbenismo.
L'omofobia interiorizzata qui è in azione con tutta la sua forza.


Nell'articolo di Marinella  sembra che  le difficoltà dell'omosessualità siano quelle dell'accettazione sociale degli altri.  Quelle che c'erano oggettivamente 50 anni fa.

Ci si dimentica invece che mentre molti passi in avanti sono stati fatti da questo punto di vista da due generazioni di militanti fa (quelle del Fuori di Pezzana e Mieli)  per cui oggi i e le giovani si baciano e camminano mano nella mano molto più di quanto Marienlla creda quello che oggi manca è un riconoscimento politico, pubblico, giuridico.

Anche Marinella li rivendica nell'articolo. Ma mentre alla questione della visibilità dedica diverse frasi al problema dei diritti negati dedica solo la frase E non voglio dilungarmi con l'elenco dei diritti negati...

Questione di priorità e in un articolo, non nel post del suo blog personale, ma in un articolo da giornalista, ogni scelta, ogni priorità si traduce in una agenda politica.

E nell'agenda politica di Marinella trova plauso la campagna di sensibilizzazione di Arcigay  (della quale ho già avuto modo di parlare) che ha il grande torto di avellere le persone omosessuali dal tessuto sociale nel quale vivono e sono immerse, perchè le persone sono cresciute più dei e delle militanti, e renderle testimonianti per l'omosessualità in quanto tale, raccogliendo interviste su sfondo bianco, accomunando queste persone per il motivo sbagliato, cioè perchè gay e non perchè discriminate. E infatti nelle interviste non si parla di diritti negati di modelli sociali inclusivi ma di come dirlo a papa e agli amici. Dire che? Una cosa di cui ci si vergogna?

Infine, e motivo per cui ho deciso di scrivere questo post, leggo di un concorso letterario che Marinella, tramite due sue creature (Nido della Fenice e Pianeta Queer), insieme al Gay center ha organizzato.
Ideato da Nido della Fenice e Gay Center, in collaborazione con Pianeta Queer,  il Premio letterario “Non dare per scontato il genere” ha come obiettivo quello di combattere con la scrittura e la creatività ogni forma di violenza e discriminazione.
Il progetto nasce come reazione al continuo ripetersi di episodi di violenza legati alla sessuofobia
Dunque il concorso collega  il genere alla sessuofobia. Ora la discriminazione di genere ha a che fare col sessismo (attribuire caratteristiche e qualità della persona al sesso di appartenenza e non al carattere), con la misoginia, col maschilismo, e, solo indirettamente, con l'omofobia, quando cioè si confonde identità di genere con l'orientamento sessuale.
Mai con la sessuofobia che, come dice il dizionario Hoepli è Avversione morbosa verso ogni fenomeno che concerne la vita sessuale.

Parlando di genere e coniugandolo con la sessuofobia il concorso si rifà a un preciso schema ideologico espresso subito dopo:

e, quindi, al concetto di genere inteso solo in senso binario, vale a dire maschio/femmina.
Qui il concorso si riferisce maldestramente a un concetto affrontato dalle persone transgender che non vogliono dover essere riconducibili a uno dei due sessi disponibili declinando le proprie generalità di genere. Ma cosa c'entra questo volersi sottrarre alla scelta di uno dei due generi (gli unici disponibili in natura) con le discriminazioni delle persone omosessuali?

Non è certo criticando la natura binaria del sesso (quale sarebbe alternativa?) che si disinnesca il patriarcato maschilista misogino e omofobico.Per chi avesse ancora dei dubbi Marinella ribadisce
Il Premio Letterario si compone di due sezioni: Poesia e Racconto Breve, per entrambi il tema proposto è il seguente: “Non dare per scontato il genere, siamo molto di più di maschio/femmina”.
Adesso non dare il genere per scontato fa riferimento ai ruoli di genere agli stereotipi di genere e all'identità di genere. Tutti concetti complessi e nuovi anche per molti militanti glbt che andrebbero spiegati e non accennati in maniera così criptica. In quanto a dire che siamo molto di più di  maschio/femmina bisogna anche qui spiegare cosa si intende. A cosa ci si riferisce. Messo così può voler dire molte cose diverse, e dunque a niente di specifico.
Gli organizzatori auspicano che questa iniziativa possa contribuire a diffondere nel Paese un modo di pensare scevro da pregiudizi, ignoranza e inciviltà, favorendo lo scambio e la convivenza tra tutte le persone.
Dove sono le discriminazioni? dove lo stato discriminante? Perchè se ne fa solo una questione di privati cittadini? I termini della questione così intavolata non solo non sono  chiari ma non sono affatto scevri da pregiudizi. Diritti mancati, pluralismo, e laicità mi sembrano termini più spendibili di aggettivi pregiudizi, ignoranza e inciviltà.

Chi parla male usando termini sbagliati (sessuofobia?!?!)  pensa male e ingenera gli stessi equivoci che critica agli altri, solamente agli altri  (i singoli, le famiglie lo stato solo di sfuggita) senza fare un'analisi interiore, dando per scontato che, in quanto omosessuali, siamo scevri dall'omofobia.

Purtroppo così non è, per nessn* di noi.