sabato 30 giugno 2012

Di cosa parliamo quando parliamo di "aggressione omofobica". Sul ragazzo aggredito a Ponte Lungo (Roma) perché gay

Ieri alle 5 del mattino in via Ivrea un giovane gay romano è stato aggredito da due uomini. Prima lo hanno insultato con frasi omofobe. Poi, mentre il primo lo teneva fermo bloccandogli le braccia, l'altro lo prendeva a pugni sul naso, provocandogli, con l'anello che indossava al dito, alcune escoriazioni sotto un occhio" denuncia l'associazione in difesa dei dititti degli omosesssuali Dì Gay Project.
Così leggo sul sito di Repubblica di ieri, 29 giugno.

Ora, quello che mi chiedo in questi casi, e mi preoccupa sia l'unico a farlo, è quale sia  il modo (il perchè) con cui (per cui) la vittima viene identificata come omosessuale. E' vestito da gay? E come vestono i gay? Scheccava? Cantava Born This Way?

Non è una domanda peregrina. Erano le 5 del mattino. Il giovane da dove veniva? Dove stava andando? Stava per i fatti suoi? Ha osato guardare i due aggressori? 

Insomma o noi gay  abbiamo tutti l'alone che ci fa riconoscere incontrovertibile come tali, o in questi articoli manca un dettaglio.  Non è una questione di  pignoleria, è una questione  di visibilità. Che cosa classifica qualcuno come gay? E questo, o questi, elementi, sono necessari e sufficienti? O basta trovarsi al momento sbagliato nel posto sbagliato, col vestito sbagliato, la camminata sbagliata, per essere riconosciuti come gay e per questo stesso motivo essere aggrediti?

Nessuno mette in dubbio che nel nostro paese ci sia  una insofferenza nei confronti delle persone omosessuali, se basta passeggiare mano nella mano o darsi un casto bacio sulle labbra per essere scherniti, aggrediti, discriminati,.ma dare per scontato che se ci aggrediscono alle 5 del mattino mentre ce ne andiamo in giro per i fatti nostri,  lo fanno per lo stesso ordine di ragioni (se si possono chiamare tali...) si tratta di una indebita semplificazione.
L'avversione per ogni forma di diversità viene scippata alla popolazione e relegata alle sole persone omosessuali. Così se sei sovrappeso, se ha un taglio di capelli fuori standard, se porti una t shirt con una parola di troppo, se vieni insomma percepito come persona diversa e vieni aggredit* per questo, si ridimensiona un'avversione globale per l'individualità riducendola alla sola radice omofobica.

Dare questa spiegazione  giustifica le aggressioni (i soliti froci, io non lo sono non corro rischio, proprio come nei primi anni dell'aids...) ascrivendole solo a una categoria della quale invece gay e lesbiche sono solo la componente più esposta perché quella che lotta per non essere discriminata.

Quello che più mi preoccupa e mi trova contrario in questa semplificazione ideologica è la natura destrorsa e forcaiola che ne deriva.
Così nel comunicato stampa, almeno per come lo riporta repubblica, Imma Battaglia arriva ad affermare 
E' venuto il momento di dare priorità alla questione sicurezza in tutte le sedi competenti: a cominciare dall'amministrazione della città, rafforzare la vigilanza e i controlli, fino al Parlamento, affinché approvi finalmente una legge contro l'omofobia, che garantisca pene più severe quando le aggressioni riguardano pregiudizi omofobi.
Non si tratta di sicurezza, né, tanto meno, di avere pene più severe. L'annovero del reato di omofobia nella legge Mancino non serve per rafforzare la pena ma per riconoscere legalmente che l'omofobia è reato. E' la funzione simbolica quella più importante. Così come quello che dobbiamo chiedere non è maggiore sicurezza (non a questo sindaco poi che ne ha fatto un fascista cavallo di battaglia elettorale, si è visto con quali risultati) ma il rispetto e il riconoscimento dei diritti mancati a tutte le minoranze a partire da quella omosessuale. A che serve mettere pene più severe se un Giovanardi qualunque può permettersi di dire le sue porcate senza che nessuno intervenga per zittirlo? Sì, zittirlo perché la libertà di opinione non può mai discriminare chicchessia.

Non c'è bisogno di più polizia, c'è bisogno di più Stato, più cultura, più educazione, nelle scuole, nel posto di lavoro, dappertutto. Che la portavoce di una associazione in difesa dei dititti degli omosesssuali (solo gay, niente lesbiche...) chieda alle istituzioni più polizia e non educazione al rispetto mi preoccupa come poteva preoccupare un giovane (allora le donne contavano meno che mai...) ai primi vagiti del ventennio.