lunedì 26 novembre 2012

Terza e ultima serata di Queering Roma. Bilancio più che positivo.

Sale gremite anche per questa terza, conclusiva giornata di festa, anche se la capienza della Casa del cinema è meno della metà di quella dell'Aquila. Però il posto è di alto prestigio istituzionale e la gioia di vedere dei bambini con palloncino davanti l'ingresso della Casa del Cinema (a pochi passi c'è il cinema dei piccoli e la Casa del cinema è un posto per cinefili di qualunque età) dove campeggia il manifesto di Queering, senza che nessuno abbia nulla da ridire, dà una gioia impagabile.
Grazie all'acume di Armilla  che ha proposto un manifesto, tutto al maschile, che allude all'omoerotismo senza espliciti dettagli anatomici, mantenendosi in una spendibilità che fa della decenza non il fulcro di un moralismo borghese ma il fulcro dell'erotismo esplicito ma non ostentato di un ragazzo che fa la verticale in un paio di pantaloncini (il messaggio passa lo stesso e la mamma non può proprio lamentarsi...).

La memoria è uno dei temi anche di questa terza e conclusiva giornata di proiezioni.
La memoria storica del movimento, sia quello americano, nello splendido documentario della HBO su Vito Russo, una delle (tante) figure chiave della storia statunitense e quella italiana in documentario importante sulla storia del F.u.o.r.i., sia quando la memoria riguarda quella della vita di una singola persona, il cui autore, in un film lisergico e molto indipendente racconta la storia propria e della madre, curata ad elettroshock da quando aveva 20 anni...



Vito (USA, 2011) di Jeffrey Schwarz racconta con uno stile documentaristico munifico la vita e l'impegno politico di Vito Russo, un italoamericano  divenuto famoso come esperto di cinema e omosessualità (è così che io lo conosco sin dai tempi del liceo...) con il libro (discutibile) The Celluloid Closet del 1981, che legge omosessualità dappertutto anche quando due cowboys accennano alla grandezza delle loro colt...  che è un punto di riferimento per tutta la comunità lgbt statunitense prima con la GAA Gay Activist Alliance e poi, durante gli anni dell'aids, con Act Up con la quale Russo denunciò la politica criminosa di silenzio dell'amministrazione Reagan che non informava né prendeva provvedimenti per l'aids allora ascritto al solo mondo omosessuale maschile. Tra immagini d'archivio, tra cui splendide interviste di Vito e interviste a familiari e amici, la vita politica e di impegno di Vito viene analizzata dal documentario parallelamente a quella privata, al suo fidanzato che morì di aids fino alla sua stessa morte avvenuta nel 1991.
Un documentario impeccabile, forse eccessivamente apologetico,  che tutti dovrebbero studiare soprattutto in Italia per capire come ci si muove per contestare le dichiarazioni omofobiche di un politico o di una istituzione pubblica.
All'epoca Vito e gli altri organizzavano degli  ZAP delle manifestazioni pubbliche in cui decine e decine di attivisti protestavano con dei sit-in od occupando gli uffici pubblici dove il politico di turno o il rappresentante delle istituzioni aveva fatto un commento omofobico. Oggi invece in Italia ci accontentiamo di un piccato (ma spesso debole) comunicato stampa...

Unica constatazione negativa sta nel rilevare come anche Russo fosse soggetto ai cliché dell'omosessuale  e dei sottesi stereotipi di genere e rivendicasse come segno distintivo di una personalità omosessuale l'effeminatezza , perchè non gli piaceva fare sport o fare a pugni...


Enrico Salvatori ci ha poi presentato il frutto di un lavoro di ricerca d'archivio Fuori dal video – Il movimento gay sul piccolo schermo (1972-1982) realizzato su materiali video delle Teche Rai coi quali mette in risalto al contempo come negli anni settanta e ottanta la televisione parlasse di omosessualità con un approccio più scientifico e meno pieno di pregiudizi (anche se si parlava di sessualità e non di affettività) mentre il Fuori accedeva allo spazio televisivo grazie ai programmi dell'Accesso (spazio aperto in seguito a una sentenza della Consulta oggi dimenticata...), e di come il movimento già allora parlasse di molte delle rivendicazioni contemporanee matrimonio compreso (negli anni settanta. checché ne dicesse contro Mario Mieli, lui, non l'associazione). Stessi temi e stesse cosntatazioni anche guardando Fuori! Storia del primo movimento omosessuale in Italia (1971-2011) (Italia, 2011) di Angelo Pezzana ed Enzo Cucco nel quale si ricostruiscono le principali azioni politiche e culturali del F.U.O.R.I il Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano (ma l'acronimo era una scusa per usare la parola fuori dal coming out inglese, anche perchè, ammette lucidamente Angelo Pezzana eravamo borghesi e non rivoluzionari e demmo così a quella parola un significato nuovo rispetto quello con cui veniva usata allora), dimostrando come tra gli anni settanta e ottanta anche in Italia il movimento riusciva a fare politica in una maniera molto più incisiva di quanto non riesca a fare oggi.
Forse un po' verboso e montato, a tratti,  con poco ritmo, il documentario si presenta come il primo di una serie in cui chiunque può proporre il recupero della memoria storica di allora cui la fondazione Sandro Penna di Torino, recentemente rinominata fondazione Fuori, vuole farsi tramite per il recupero storico delle gesta di quel movimento e non solo.

Deludente invece Homo promo (USA, 1993) di Jenni Olsen, non per il film in sé, il montaggio di trailer americani di film del mainstream americano del periodo 1953-1977 che parlano di omosessualità, ma per le professionalità della Casa del Cinema che lasciano la sala kodak abbandonata a se stessa e quindi il film viene proiettato senza sottotitoli mandando in tilt la sala (gremitissima)  che non capisce una parola di inglese (?!) professionalità che dopo ben due interruzioni hanno sbagliato a scegliere dal meno del dvd e hanno mandato non già i promo del film ma quelli della distribuzione del film stesso...
Insomma un semidisastro non imputabile però a Queering ma alle burocrazia della Casa del Cinema (come può una persona gestire la programmazione di due sale?).


Poi dopo un'ora di buco tra una proiezione e l'altra (unica distrazione in una programmazione altrimenti attenta e incalzante) l'ultimo incredibile film, dell'ormai lontano 2002, Tarnation  (USA, 2002) di Jonathan Caouette nel quale l'allora esordiente e bellissimo attore-regista racconta la propria storia di bambino vissuto coi nonni e in famiglie affidatarie per via dei continui ricoveri psichiatrici della madre, parallelamente ai propri problemi mentali (disturbo di de-perosonalizzazione in seguito a uno spinello alla formaldeide) e all'adolescenza vissuta e agita come ragazzo gay (non mi piace nemmeno succhiare - dice- ma sento che devo farlo) sempre sul crinale di un gusto tra l'affabulatorio, lisergico e psichedelico, e gusto per memoria. Ipnotico, straziante, bellissimo, il film assembla materiali diversi: fotografie, filmini amatoriali (e non) in super8, vhs, che ritraggono Johnatah da bambino e preadolescente, montato e sviluppato come un omaggio alla video arte. Prodotto con soli  218 dollari usando il software gratuito iMovie su un computer Macintosh (mentre 400mila dollari sono stati spesi budget dal distributore per audio, stampa, musiche e tutti gli aggiustamenti audio/video per portare il film nelle sale) Tarnation ha vinto innumerevoli premi.
Il legame tra Johnatan e la madre resta nel cuore dello spettatore quanto la bellezza maledetta sua e del suo altrettanto bellissimo fidanzato...


Una terza edizione di Queering che mantiene lo spirito della festa di film a tematica omosessuale e trans con la quale nasceva nel 2012 e che fa ben promettere per la prossima edizione che, anticipa Armilla che l'ha organizzata, vuole insistere sulla strada della cultura letteraria e della memoria storica.
Non possiamo che essere d'accordo e fare i nostri migliori auguri aspettando con ansia Queering numero 4.


Sulla donna trans picchiata da due romani: articoli mendaci e scritti con un italiano stentatissimo.

Roma, l'alba del 25 novembre. Una donna trans, di 26 anni, in stato di ebrezza, chiede un passaggio a due uomini, di 30 e 32 anni,  che si trovano a bordo di un'automobile, in transito a via Longoni, tra la Collatina e la Prenestina.
Chiede di essere accompagnata sull'appia nuova.
I due uomini si rifiutano di accompagnarla.
La donna prende la vettura a calci e pugni.
I due uomini scendono dalla macchina e la riempiono di botte, lasciando la donna a terra.
I carabinieri, chiamati da un passante che ha trovato la donna, identificano i due aggressori, che, pur essendosi allontanati, erano ancora nelle vicinanze del luogo dell'aggressione perchè la macchina era andata in panne e li denunciano a piede libero.

Questi, grosso modo, i fatti, così come li deduco dai vari articoli (sic!) pubblicati sulla rete, non da blog come il mio ma dall'Ansa, dal Messaggero e da Repubblica. E anche da alcuni blog.

La notizia è riportata in maniera capziosa, sfruttando l'identità della vittima, una trans di origini brasiliane di 26 anni, lasciando intendere che se è stata aggredita è perchè la donna è una trans in un italiano stentato, in alcuni casi, inesistente.

Catalogare implicitamente l'aggressione come aggressione transofobica, anche se non tutti usano questo aggettivo, è cosa inquietante e pericolosa.

Inquietante perchè sono tutti così senza scrupoli da vendere la notizia catalogandola tra le aggressioni transfobiche, categoria alla moda.

Pericolosa perchè dà ragione a quanti e quante asseriscono che una legge contro la omo-transfobia potrebbe essere usata come giustificazione per camuffare un reato.

Sembrerebbe proprio questo il caso.

Fermo restando che nessuno dovrebbe picchiare nessuno, la reazione dei due uomini, esagerata, violenta e irricevibile, non nasce dall'identità dell'aggredita (toh guarda una trans ubriaca per strada, scendiamo dalla macchina e picchiamola)  ma dal fatto che abbia preso la macchina dei due uomini a calci e pugni.

Arroganza e violenza. Della trans E dei due uomini. Questa e quella per me pari sono.

Certo questa considerazione non giustifica assolutamente la reazione dei due uomini, che infatti sono stati denunciati a piede libero dai carabinieri, ma illumina di una luce diversa l'accaduto.


Ovviamente va sempre considerato che se al posto della donna trans ci fosse stato un signore di 40 anni, grande e grosso, forse i due uomini se ne sarebbero andati.
Forse a dare loro la baldanza degli aggressori è stata la natura fragile dell'aggressora. 
Forse. Non posiamo saperlo.

Si tratta di  una reazione da bulli, magari opportunisti e vigliacchi, ma bulli non necessariamente transfobici.

Certo qualche domanda un giornalista di cronaca dovrebbe pur farsela.

Visto che tutti riportano che la richiesta è stata reiterata direi che la macchina è stata presa a calci e pugni da ferma e non in movimento.

Dunque perchè i due si sono fermati? Sono stati costretti a fermarsi perchè la donna ha occupato la carreggiata?
O si sono fermati spontaneamente?
Quando si sono accorti che la donna era ubriaca?


La dinamica dell'accaduto insomma non è del tutto chiara non si ha un quadro completo.

Ma penso di poter affermare ragionevolmente che la donna non sia stata aggredita solamente perchè trans.

Invece post e siti di quotidiani sfruttano l'identità della donna, che ha aggredito per prima, per montare una notiza che non c'è, o che, comunque, è sensibilmente diversa da come viene riportata.

Il nobel della bugia va all'Huffington Post che titola:
Transfobia, la fanno salire in auto per un passaggio e poi la picchiano: due denunciati a Roma
Eh no. I due si rifiutano di farla salire in auto. La loro auto viene presa a calci e pugni proprio per questo rifiuto e dopo i due uomini (a 30 anni sei uomo non ragazzo e che cazzo!) scendono per picchiarla.







Non è da meno l'Ansa che lascia intendere che la donna sia sata picchiata perchè trans o perchè ubriaca
Transessuale ubriaca picchiata a Roma
Transessuale ubriaca prende a calci e pugni un'automobile e viene in seguito picchiata sarebbe un titolo più onesto...

Peggio ancora La Repubblica lascia intedenre che la donna sia satta aggredita perchè aveva chiesto un passaggio:
Trans picchiata a sangue per aver chiesto un passaggio

Anche Messaggero presenta la notiza nello stesso modo:
Transessuale ubriaca chiede passaggio: picchiata da due romani
Per il resto i due articoli, non firmati, sono identici.

Sono titoli. Specchietti per le allodole. Perchè poi negli articoli la vera dinamica dei fatti viene riportata e uno deve dunque mentalmente cambiare il significato di quel titolo...


Purtroppo il pressappochismo non finisce qui.

Se per una volta tanto Messagero e Repubblica usano Transessuale al femminile alcuni siti continuano a usare il maschile mentre alcuni corredano la notizia con foto a dir poco tendenziose
foto pubblicata da romatoday.it
insinuando la prostituzione come fa romatoday.

Molti siti poi parlano di arresto dei due ragazzi.
In realtà sono entrambi a piede libero, cioè in attesa di giudizio ma senza custodia cautelare perchè il reato commesso non la prevede...

Eppure questo non vieta di scrivere:
Roma, arrestati 2 ragazzi per pestaggio transessuale: voleva passaggio
E' di Virgilio che vince il premio del sincretismo: pestaggio transessuale che in italiano non significa nulla, non pestaggio di una transessuale transessuale è proprio il pestaggio, non so, forse perchè effettuato con una borsetta, o calzando scarpe col tacco a spillo, boh...

Insomma, tutta la mia solidarietà alla ragazza trans che è ricoverata ancora in ospedale (checché ne dicano Messaggero e Repubblica che sbagliano posizione a un avverbio e scrivono: Le condizioni della vittima, che inizialmente è stata ricoverata in prognosi riservata per varie fratture al volto e vari ematomi alla testa, sono migliorate ma dovrà essere sottoposta ad un intervento maxillo-facciale) ma dopo che sarà operata beh una settimana di galera per aver preso l'automobile a calci e pugni secondo me dovrebbe proprio farsela.

Ora se non mi sorprende lo sciacallaggio dei quotidiani consiglio cautela a tutti i siti che vorranno usare la notiza per lagnarsi dell'enensima aggressione transofibica. Attenzione che così fate il gioco di quanti dicono che noi gay lebsiche e trans ci inventiamo le notizie.
beh, stavolta forse non hanno proprio tutti i torti...