giovedì 3 gennaio 2013

Quando la (apparente) gayfriendevolezza diventa discriminatoria.

Lo so gayfriendevolezza è un brutto neologismo, anzi è una parola che non esiste proprio ma si capisce il senso no?

Una persona è gayfriendly quando è amichevole nei confronti delle persone omosessuali.

Purtroppo capita che a volte, senza rendercene conto, crediamo di intervenire in favore delle persone omosessuali, mentre il nostro intervento non si discosta minimamente dall'atteggiamento discriminatorio che crediamo di stare denunciando.

E' quello che succede nella lettera di una madre, pubblicata, a quanto pare, su Repubblica.

Il beneficio del dubbio è obbligatorio perché una ricerca sul sito di repubblica non dà risultati e l'unica fonte sulla rete che riporta la lettera è un articolo del sito giornalettismo che non solo non rimanda alla fonte, cosa che si dovrebbe sempre fare, ma non cita nemmeno il giorno in cui tale lettera sarebbe stata pubblicata.
Visto che la data di pubblicazione dell'articolo su giornalettismo è il 15 dicembre si presume prima di quella data.

Poco importa se la lettera sia autentica o apocrifa.
Appena avrò modo di fare una ricerca cartacea risconterò la sua effettiva esistenza.

Chi l'ha scritta, chiunque essa, o egli, sia, crede di stare facendo un'opera di denuncia delle discriminazioni sulle persone omosessuali. Purtroppo scrive una lettera loffia e ambigua.


Il tono generale è quello classico delatorio di chi riporta dichiarazioni altrui:

Mia figlia racconta che questa scuola è frequentata da molte ragazze e pochissimi maschi.

Uno dei compagni di mia figlia pare sia continuamente bersaglio di minacce e ritorsioni

Mia figlia cita parole tipo “insulto al decoro”, “disgusto”, che pare escano dalla bocca di queste “cosiddette” insegnanti.

Mia figlia racconta, cita; pare.

Della serie io non lo so se è vero, se non lo è la colpa è di mia figlia che me lo ha detto.

La scelta del lessico denota un sessismo di fondo e un uso particolare dell'accordanza di genere nel  lessico:

Mia figlia racconta che questa scuola è frequentata da molte ragazze e pochissimi maschi.

Perché non ragazzi?

sono costretti a subire atti di discriminazione da parte di alcuni insegnanti, soprattutto donne

Perché rimarcare che si tratta soprattutto di donne e non dire direttamente da alcune insegnanti?

Il tono delatorio raggiunge il climax quando la donna scrive:
 
Un’insegnante in particolare lo obbliga a lavarsi la faccia minacciandolo di non accettarlo in classe con il trucco sul viso. Mia figlia cita parole tipo “insulto al decoro”, “disgusto”, che pare escano dalla bocca di queste “cosiddette” insegnanti.
I neretti sono miei. 

Dunque è assodato che una insegnate in particolare minacci di non accettare il ragazzo in classe con il trucco sul viso.
Ma le parole “insulto al decoro”, “disgusto”,  pare che escano dalla bocca anche di altre "insegnanti".

Più che una lettera di denuncia sembra un'altra picconata alla credibilità professionale del corpo insegnante che nell'arco degli ultimi 20 anni ha perso quel po' di rispetto che aveva agli occhi dell'opinione pubblica.

Nessuna insegnante può rifiutarsi di accettare uno studente nella sua classe. Non spetta a lei deciderlo ma all'ufficio di presidenza.
Se mia figlia riportasse degli abusi così gravi anche se lo studente vessato non è mio figlio come genitrice mi sentirei in dovere di investigare per scoprire se davvero mia figlia frequenta una scuola in cui i diritti degli e delle studenti vengono calpestati in maniera così lampante.  

In questa lettera di denuncia manca poi un dato fondamentale: la reazione dei compagni e compagne di classe dello studente vessato.

Sono indifferenti, favorevoli o sfavorevoli alla reazione della professoressa incriminata?

E, più in generale, come reagiscono, loro, all'aspetto fisico dello studente vessato?

Dalla lettera sembra quasi che la fonte principale di discriminazione e bullismo omofobico provenga dal corpo insegnanti mentre proviene anche da quello studentesco anche per un mera questione numerica.  


Ma veniamo al cuore della lettera.

In che consiste l'omosessualità dichiarata dei ragazzi che frequentano l'Istituto?
La matita sugli occhi e un po’ di terra in faccia.

E' questo il motivo per cui uno dei ragazzi viene vessato e discriminato, a quanto pare solamente dal copro insegnante e non da quello studentesco. Un atto odioso.

Ma cosa c'entra il fatto che un ragazzo che si mette la matita sugli (sic) occhi e un po' di terra in faccia sia vessato con l'omosessualità?

Il ragazzo è vessato perché veste in maniera non conforme allo stereotipo di genere che non riconosce ai maschi (ecco perché non ha usato il termine ragazzi) di truccarsi, non in quanto omosessuale.
Pare infatti che le professoresse non abbiano detto sporco frocio, ma che abbiano parlato di disgusto e di insulto al decoro, pare.

Viene da chiedersi chi è che discrimina e pensa per cliché? Se le insegnati o l'autrice di questa lettera.

Una lettera nella quale si dà per scontato che in un centro di formazione professionale per estetiste e parrucchieri i ragazzi sono pochi e quei pochi che ci sono sono dichiaratamente omosessuali.

Quei pochi ragazzi che ci sono sono gay per il tipo di formazione professionale che hanno scelto e che il luogo comune vuole pertinente alle femmine?

Insomma i froci sono tutti parrucchieri e ballerini? Siamo ancora a questi cliché?

Il dichiaratamente a cosa si riferisce? Al fatto di frequentare una scuola che forma a professioni considerate da femmine? Al fatto di truccarsi?

E, a proposito, tra le ragazze quante lesbiche ci sono? Poche? nessuna? Ah certo. le lesbiche sono tutte tra gli istituti professionali per geometri!

Si è gay perché si deroga dallo stereotipo di genere. 

Siamo totalmente dentro i più trivi luoghi comuni sessisti e omonegativi e nessuno sembra rendersene conto.

Si pensa che l'essere omosessuali si ravvisi nel modo di vestire o nel modo di parlare mai in quel che più conta, la sfera sentimentale oltre che sessuale di questi ragazzi.

I flirt, i baci, le cotte verso studenti del loro stesso sesso. 

Questo rende un ragazzo, una ragazza, dichiarati, il fatto di mostrare la propria affettività senza nasconderla.

Ma di questo la lettera tace.

Quello che si sta denunciando qui è il maschilismo e il sessismo del corpo insegnante (soprattutto le donne chissà forse per rendere la cosa più grave, ma dai propri le donne sono le più cattive...) che non coinvolge necessariamente dei ragazzi omosessuali ma solo dei ragazzi percepiti come tali perchè derogano da un clichè di genere.

Ma altrettanto maschilista è lo sguardo dell'autrice di questa lettera che non esita a classificare come omosessuale dichiarato un ragazzo che che si mette la matita sugli  occhi e un po' di terra in faccia. 

Non che le due cose non possano essere, sorprende però che si dia per scontato che un ragazzo omosessuale vada in giro truccato senza dare ulteriori ragguagli perché non tutti i ragazzi che vanno in giro truccati sono gay non tutti i gay vanno in giro truccati

Adesso gli entusiasti del bicchiere mezzo pieno portebbero dire che dovrei giorie di questa lettera che in un mare di indifferenza prova, pur con tutti questi difetti, a denunicare una situazione di disagio e discriminazione.
Vero.

Ma se posso comprendere che una genitrice, credendo di aiutare, in realtà contribuisca alla discriminazione riconoscendole la buona fede, quello che mi lascia perplesso e mi fa dubitare dell'autenticità di questa lettera è il fatto che sia stata riportata da uno dei gay di professione più scaltro e informato che ci sia sulla piazza romana, Fabrizio Marrazzo, il quale ci scrive su un post senza accorgersi di nemmeno una delle tante ambiguità in essa contenute.

Marrazzo non esprime alcuna riserva sui contenuti della lettera (che non riporta per intero ma presumo abbia letto nella sua interezza) si limita a picconare il corpo insegnante:
Questo caso in particolare mette l'accento sul comportamento di alcune insegnanti, e la cosa è ancora più grave rispetto ad altri in cui i protagonisti sono gli studenti. Da parte degli insegnanti ci si aspetterebbe ben altro atteggiamento e comportamento, che fosse anche di guida e di esempio per gli studenti, volto a educare all'inclusione, al rispetto delle diversità e alla non discriminazione.
Se la società itera è omofoba non si capisce come si può pretendere che il copro insegnante sia immune a un pregiudizio diffuso...
(...)  E' bene che questa lettera venga conosciuta e che si intervenga per censurare il comportamento di queste docenti.
Così senza verifica alcuna di tutti quei pare, dice, sembra...
Dovrebbero intervenire le autorità scolastiche, dovrebbe esserci l'attenzione delle Istituzioni. L'omofobia di per sé grave può avere effetti dannosi e gravi. Quindi non lasciamo inascoltata questa lettera.
Non è la prima volta che Marrazzo  tradisce la propria vocazione autoritaria.

Quando si trattò qualche estate fa di un ragazzo migrante che lavorava nelle nostre spiagge e che avrebbe discriminato due ragazzi che si stavano baciando Fabrizio invece di rimproverare il gestore per incauta assunzione (non avendo verificato la gayfriendevolezza del lavoratore).chiese al gestore della spiaggia libera di dissociarsi  e prendere provvedimenti contro il migrante.

Stavolta Marrazzo chiede olio di ricino per le insegnanti omofobe senza curarsi minimamente dell'omofobia insita nella lettera. evidentemente per Marrazzo tutti i ragazzi dichiaratamente gay vanno in giro truccati e tutti i ragazzi truccati sono sicuramente gay.

Viene da chiedersi se Marrazzo sia davvero così vittima degli stessi pregiudizi che dice di volere combattere o voglia semplicemente tenere alto l'allarme omofobia solamente per ribadire la necessità della suo lavoro come rappresentante dei gay.

Un lavoro che fa malissimo se non si scomoda nemmeno a criticare l'omofobia nemmeno troppo velata della lettera che sbandiera come vessillo della lotta alle discriminazioni.

Inutile dire dell'effetto cascata della lettera e del post di Marrazzo che vengono riportati da tantissimi siti e blog acriticamente senza che nessuno ravvisi nella lettera ambiguità alcuna semplicemente costituendo un tam tam mediatico a effetto domino

Una marrazzata perfettamente riuscita.


Se Marrazzo deve formare professori e studenti contro l'omofobia chi forma i formatori ?
 







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Quando la stampa fa diventare le mamme gay.
Sugli articoli del Mattino e del Corriere del Veneto sull'ospedale di Padova che dà accesso anche alle genitrici non biologiche che costituiscono famiglia con la partoriente.

Così come è riportata la notizia non meriterebbe di comparire sui quotidiani, data la sua normalità.

Invece data l'ossessiva discriminazione sessuofoba e lesbo-omofoba del Paese, la notizia, quella vera  merita il giusto rilievo.

Purtroppo viene data con esiti differenti a seconda della testata e di chi scrive e nessuno, nessuna, sembra coglierne la vera portata.

Ecco la notizia in soldoni.

La clinica di ginecologia dell'ospedale di Padova ha modificato la dicitura sui braccialetti identificativi da padre a partner per non discriminare le coppie di fatto formate da due donne, riconoscendo il diritto di accesso nell'ospedale anche alla partner della madre.


Desumo questa versione della dal Mattino secondo il quale

In Clinica si sono trovati di fronte ad una coppia di fatto costituita da due “lei”, una delle quali ha dato alla luce un bambino. «Di fronte a questa situazione abbiamo capito che la dicitura “padre” avrebbe, di lì in avanti, potuto creare inopportuni imbarazzi per i genitori. (...) abbiamo modificato i bracciali, non facendo più scrivere “padre”, ma un più generico “partner”. (...) spiega Nardelli [il direttore sanitario].

Il corriere del veneto dà invece una versione diversa.
In ospedale aveva appena partorito la compagna, che come padre ha indicato nome e cognome dell'amica. La compagna ha firmato il registro dell'atto di nascita che in ospedale era stato sottoposto alla madre ma ha rifiutato di ricevere il «braccialetto del papà».

Insomma la clinica ha pensato per conto proprio a un braccialetto meno discriminatorio oppure è stato il rifiuto della partner della madre a indurli a decidersi verso quella soluzione che rispetta tutte?

Vallo a sapere...

In ogni caso entrambi gli articoli non sottolineano un punto importante che per la legge italiana una donna che ricorre all'inseminazione assistita eterologa (all'estero) e costituisce una coppia di fatto con un'altra donna per lo stato italiano è una donna single, e la partner non ha alcun diritto legale sul figlio della compagna.

Quindi non si tratta tanto di civiltà nell'usare un nome meno discriminatorio, si tratta di riconoscere i diritti di chi per la legge italiana non esiste: la genitrice non biologica della donna che ha partorito.
nel caso del genitore non biologico questo può riconoscere legalmente il figlio come suo  anche se la coppia non è sposata e, presumo, anche se lui non è il padre biologico. 

La giornalista del mattino a dire il vero ci prova a dirlo ma lo fa con una goffaggine incredibile.

I vincoli della legge 40, che vietano la fecondazione eterologa, nulla hanno potuto di fronte alla volontà di due donne di diventare madri. Nessuno ha chiesto come è stato concepito quel figlio, se all'estero con la procreazione assitita o in altro modo. In Clinica l'imperativo non è stato rispondere a domande, ma risolvere una questione urgente.
La legge 40 dice che solamente le coppie etero (lei  e lui), sposate o conviventi, possono accedere alla fecondazione omologa dove il padre è e rimane anche il padre biologico dell'infante

La fecondazione eterologa in Italia  non è consentita.

Non è consentita non vuol dire che chi vi ricorre all'estero commette reato.

Sono le cliniche italiane a non potere offrire questo servizio.

Dunque la frase i vincoli della legge 40, che vietano la fecondazione eterologa, nulla hanno potuto di fronte alla volontà di due donne di diventare madri è un'affermazione parziale, perchè la legge 40 non consente a nessuna coppia anche a quelle etero (=di sesso diverso)  la fecondazione eterologa.


La frase
Nessuno ha chiesto come è stato concepito quel figlio, se all'estero con la procreazione assistita o in altro modo
è invece disgustosamente paternalistica perchè non è un segreto che molte coppie anche etero (=di sesso diverso) sono costrette a fare all'estero quel che in patria non è consentito.

Una legge, tra l'altro, che la Corte Europea per i Diritti Umani (CEDU) ci ha intimato di cambiare.

Ma di questo nessuno si è ricordato di informare i lettori e le lettrici.

Quell'insinuazione in altro modo è disgustosamente maschilista e oltremodo  maliziosa perchè oltre alla fecondazione assistita, esiste solamente il metodo tradizionale.

E nessuno può sindacare sulla vita privata sessuale di una cittadina italiana. Nemmeno lo Stato.

Figuriamoci una giornalista (sic!) che risponde al nome di Fabiana Pesci.

In ogni caso si dimentica di considerare il reale portato della decisione dell'amministrazione di questo ospedale.

Il corriere del Veneto fa però molto peggio.

Tralasciando il solito sessismo della lingua  che fa scrirere

Un braccialetto per la mamma, uno per il bebè e uno per il... partner. La clinica ostetrica dell'ospedale di Padova ha deciso, di fatto, di «riconoscere» i genitori omosessuali con un apposito braccialetto
(i neretti sono miei) dove nella fattispecie il partner è una donna e dunque dovrebbe essere la, e i genitori omosessuali sono due donne quindi dovrebbe essere le genitrici, l'articolo si riferisce alla partner della donna che ha partorito con la parola amica.

Scelta non solo ridicola, in un articolo in cui si spiega come l'ospedale abbia scelto il termine più generico di partner al posto della parola padre ma soprattutto scelta discriminatoria e giudicante che non riconosce alla compagna della neo mamma lo status etico di partner.

Quella signora accanto alla mamma non è la fidanzata, la compagna, la donna, la partner, ma un'amica.

Roba da vomitare, purtroppo non in faccia a chi ha scritto l'articolo perchè non è firmato.
Comunque sia, VERGOGNA.

Il Corriere del Veneto va ben oltre e dice:

Il bambino nato da due donne è stato reso possibile grazie alla fecondazione eterologa, un procedimento vietato dalla legislazione italiana ma ammesso all'estero, in cui il seme maschile proviene all'esterno della coppia.
I neretti sono miei.

L'articolo offende in primis la lingua italiana visto che è scritto con una sintassi e una grammatica inesistenti.

I bambini nascono, vengono concepiti, non sono resi possibili.

In ogni caso a renderlo possibile è la madre (con il seme di un donatore) .

La fecondazione assistita casomai rende possibile il concepimento non la  nascita...

Il bambino poi non è nato da due donne, naturalmente.

E' nato da una delle due donne.

Detta così sembra quasi un esperimento alla Mengele dove due uteri sono stati cuciti insieme e due donne diverse hanno partorito lo stesso bambino. Chissà forse ecco il perchè quel bambino è stato reso possibile...

E' chiaro che qui si vuol sottolineare negativamente un fatto normalissimo.

Una donna vuole avere un figlio e sceglie di ricorrere all'inseminazione  artificiale.

A proposito, la fecondazione assistita è quel procedimento nel quale il seme maschile proviene DALL'esterno (da fuori a dentro) della coppia, non all'esterno (da dentro a fuori) della stessa.

Ma anche così corretta la frase non ha  molto senso perchè lascia immaginare anonimi onanisti che spruzzano il loro seme sulla coppia...

In realtà il seme maschile proviene da un donatore, che lo dà a una banca del seme, dietro un modesto compenso, la quale lo dà poi alla clinica, dietro un lauto compenso, che lo dà alla donna, previa altro esborso di soldi....

Il capolavoro di discriminazione, feroce e inutile, sta però nel titolo di entrambi i quotidiani, virtualmente identico.





Va riconosciuto doverosamente che il sommario del mattino è equilibrato e riporta la notizia così com'è.

Quello del Corriere del Veneto è invece di tutt'altro tono, e, ridicolmente, continua a indicare al maschile anche la compagna della mamma che ha indotto al cambiamento della scritta sul braccialetto.

Però entrami i titoli parlano di mamme gay.

E questa è una distinzione ferocemente discriminatoria e inutile.

Una mamma è una mamma il suo orientamento sessuale è irrilevante ai fini del suo status di maternità.

Se con mamme gay si intende riferirsi invece alla coppia, esiste l'aggettivo omogenitoriale (=genitori dello stesso, sottintendendo sesso, per simmetria con omosessuale) e si poteva dunque scrivere coppia omo-genitoriale, oppure coppia di donne,  non mamme gay. 

L'orientamento sessuale della madre e della sua compagna infatti è una pura congettura, una o entrambe potrebbero anche essere bisessuali.

Qui si confonde l'aggettivo omosessuale nel significato originale di dello stesso sesso, riferito al sostantivo coppia, con l'aggettivo gay che significa di orientamento sessuale omoaffettivo.

Si cataloga dando informazioni non necessarie, presunte e potenzialmente  sbagliate, e dunque si discrimina.

Due donne costituiscono una coppia, una famiglia,  e ora hanno avuto un figlio, concepito e partorito da una delle due.  L'orientamento sessuale delle due è non è affar di nessuno. Ai fini del fatto accaduto è irrilevante.

E' il fatto che le due donne stanno insieme a fare di loro famiglia non certo il loro orientamento sessuale.


Ma questo vallo a spiegare alle nostre e ai nostri giornalisti...

In ogni caso complimenti all'ospedale di Padova e al suo direttore Giovanni Battista Nardelli.